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La Zes unica per tutta il Sud approvata dal governo Meloni dovrebbe portare a incentivi fiscali e procedure accelerate per le aziende meridionali. Luca Bianchi, direttore di Svimez, ha risposto a Fanpage spiegando che la Zes può essere un punto di partenza, ma se non arriveranno investimenti – come quelli del Pnrr – non ci sarà un vero sviluppo per il Sud.

Intervista a Luca Bianchi

Direttore di Svimez, Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno

Con il decreto Sud – approvato dal Consiglio dei ministri e passato sotto traccia per la forte attenzione data al decreto Caivano – il governo Meloni ha varato la Zes unica per il Sud che partirà nel 2024. Una Zona economica speciale che sostituirà le otto Zes che oggi esistono nel Meridione e non hanno mai funzionato a pieno regime. Luca Bianchi, direttore di Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) ha risposto alle domande di Fanpage su come cambieranno le cose, cosa significherà la Zes unica per il Sud Italia e cosa deve fare il governo per migliorare davvero la situazione dell’economia meridionale.

Partiamo dalla situazione in cui ci troviamo oggi: come stanno andando le varie Zes del Sud Italia?

Il percorso delle otto Zes è stato molto accidentato, erano state introdotte dal governo Gentiloni ma i primi elementi di attuazione sono arrivate solo nell’ultimo anno. Negli anni hanno subito diverse riforme, che le hanno un po’ snaturate: nell’idea di partenza, guardando a esperienze internazionali come la Polonia, dovevano essere molto più legate allo sviluppo delle aree portuali nello specifico. Invece sono state molto ampliate, si sono aggiunte delle aree industriali anche abbastanza scollegate da quell’obiettivo. Era un po’ una versione all’italiana, che le ha rese anche meno mirate per attrarre investimenti esteri. Non sono uno strenuo difensore di quella impostazione, ecco.

Quindi non sono servite a molto, fino a oggi?

Non sappiamo esattamente quanti investimenti sono stati spinti dalle Zes, quante procedure sono state avviate. Ma è indubbio che nell’ultimo anno qualche operazione importante è stata fatta, una su tutte la Whirlpool a Napoli: la questione è stata seguita direttamente dal commissario della Zes, che ha usato una serie di semplificazioni e incentivi. In generale, comunque, va detto che il nuovo decreto è arrivato in una situazione piuttosto complessa.

Con questo nuovo decreto il governo ha deciso di creare, a partire dal 2024, una Zes unica per tutto il Sud. Allargando ancora di più i confini aumenteranno i problemi?

Allora, è chiaro che il decreto va nella direzione di snaturare del tutto la Zes. Dall’altra parte, è vero che prima c’era un problema di perimetrazione: da una strada all’altra, da un Comune all’altro, potevi essere dentro o fuori dalla Zes, senza un reale collegamento con l’obiettivo di valorizzare le potenzialità portuali e logistiche. Questo se non altro eliminerà la questione.

È vero, come sostengono dall’opposizione, che potrebbe diventare un ‘collo di bottiglia’, con una sola struttura organizzativa che si occupa di tutte le richieste provenienti dalle Regioni meridionali?

Nella gestione delle autorizzazioni, alcune Zes avevano procedure abbastanza rapide mentre altre per nulla. La sfida ora è di fare un unico strumento nazionale, accentrando le risorse a Roma. È una scelta strategica completamente diversa, ma è difficile dire se possa essere più o meno efficiente di prima. Il vero problema sarà come la realizzeranno, nella pratica, e se saranno in grado di gestirlo.

Nella Zes ci dovrebbero essere pratiche più rapide per aprire un’azienda e degli sconti fiscali sugli investimenti. È sufficiente?

Ovviamente no. Di fatto si estendono semplicemente le agevolazioni delle aree Zes a tutto il Sud, ma bisogna vedere come sarà applicato.

L’investimento minimo per avere la decontribuzione sarà di 200mila euro, tagliando fuori molte piccole imprese.

Questa chiaramente è una decisione relativa al tipo di investimento che si vuole favorire. Scontenterà le piccole imprese, ma è una scelta di privilegiare investimenti di dimensione più rilevanti. Il vero tema è un altro

Quale?

Gli investimenti. Le infrastrutture. Gli incentivi da soli non bastano. Se non si realizzano gli interventi di infrastrutture per rendere più accessibili quelle aree, diventa difficile attrarre investimenti. Questo è un punto dolente, e sia chiaro, lo era già prima. Sia sui 600 milioni previsti dal Pnrr, su cui sembra che non sia ancora stato speso quasi nulla, sia sui 1,2 miliardi di euro per i porti, siamo indietro. Bisogna fare uno sforzo in più, per realizzare gli investimenti che sono necessari. C’è tutto il tema della conversione ecologica dei porti, la connessione…

La Zes unica è inutile se non ci sono investimenti nelle infrastrutture e nell’energia?

Può essere utile perché stabilizza gli incentivi in tutto il Sud. Per le aziende è una fiscalità compensativa, può essere un primo punto utile. Però poi manca tutto il resto. Ad esempio, bisognerebbe effettuare un intervento più mirato sulle aree portuali, in particolare sulle zone doganali.

Cioè creare una Zes vera e propria, dedicata solo ai porti, all’interno di quella che ormai si chiama “Zes unica” ma è qualcosa di diverso?

Esattamente, servirebbero interventi specifici. Questo credo si possa recuperare, il decreto prevede di stendere un Piano strategico Zes per identificare aree e settori prioritari. La politica industriale non c’era prima e per ora non c’è neanche adesso. Ad esempio, si parla tanto di hub energetico, ma concretamente quasi non si sono visti interventi per valorizzare la filiera delle rinnovabili nel Sud.

Serve da una parte avere le semplificazioni della Zes, e dall’altra gli investimenti del Pnrr?

Quello è il vero tema. Non ci si può accontentare, o adattarsi alla bassa capacità di spesa. Cioè, se tu sei in ritardo a spendere, ti tolgo i soldi. No, bisogna concentrare le risorse nel Mezzogiorno, recuperare le difficoltà.

Questa però è la logica che ha seguito il governo Meloni nel tagliare i progetti dal Pnrr: via quelli che erano troppo indietro o andavano troppo lentamente.

La rimodulazione del Pnrr rischia di spostare le risorse soprattutto su interventi di carattere automatico, tipo Industria 4.0. E cosa vuol dire? Che le risorse vanno dove le aziende già ci sono. La vera sfida è invece fare investimenti. C’è il modello di Catania, dove sta aprendo la più grande fabbrica di pannelli solari d’Europa. Ma è un caso isolato. Se il Sud deve essere un hub energetico, non può essere solo il posto dove si mettono i pannelli solari e le pale eoliche. Tutto questo deve essere legato alle imprese di quella filiera. A quel punto il Sud può guadagnarci. E per questa sfida serve il Pnrr, servono più sforzi.

La Zes, che porterà agevolazioni fiscali alle aziende del Sud, può essere vista a livello politico come un ‘contentino’ al Mezzogiorno per compensare la futura approvazione dell’autonomia differenziata? 

Se questa fosse l’idea del governo, sarebbe un errore. La Zes unica è un tema, che se accompagnata con degli investimenti nella transizione ecologica può tornare utile. L’autonomia differenziata è una prospettiva letale per il Mezzogiorno e, io ritengo, per l’Italia. Non ci sarebbe intervento in grado di compensarla.



 

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