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Schlein & c, in Italia mettono alla gogna Toti, ma in Europa riconfermano Von Der Leyen, sanzionata dalla Corte di Giustizia Ue

Manca ancora davvero poco. E, poi, nello spazio di appena 3 anni, riusciremo a strappare – la non troppo ambita maglia nera europea del rapporto fra debito pubblico e Pil che conta nella valutazione della sostenibilità finanziaria degli Stati più del loro debito pubblico in valore assoluto – alla «mitica» Grecia.

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Che, su questo fronte, fino a qualche tempo fa sembrava inattaccabile. Ma poi è diventata virtuosa: fa meno debito e, ha rallentato la crescita del rapporto dp/pil e sta recuperando in termini di sostenibilità finanziaria. Per sua fortuna non è chiamata a fare i conti con super bonus e agevolazioni fiscali in edilizia che hanno, gonfiato il nostro, facendolo crescere dal 137,3% del 2023 a quel 139,7 previsto per il 2026, che speriamo di riuscire ad evitare. Ma, non sarà facile.

Secondo l’ultimo aggiornamento mensile sullo stato della finanza pubblica italiana, diffuso, all’inizio della settimana appena trascorsa, dalla Banca d’Italia e rilanciato dal massimo quotidiano economico, «il Sole 24 ore», a maggio il nostro debito pubblico ha compiuto l’ennesimo salto in alto di 13,1 miliardi, toccando la quota complessiva record di 2.918,9 miliardi, avvicinandosi sempre più a quella vetta super dei 3mila miliardi che, è vero, è ancora lontana (originariamente era stato prevista per il 2026) ma ormai si staglia sempre più mestosamente visibile in fondo al nostro orizzonte ed è stata anticipata al 2025.

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Le entrate fiscali e il rapporto debito/Pil

Per fortuna, mentre continua a crescere, (così come il debito pubblico a velocità costante, e stando alle previsioni della stessa Banca d’Italia, a giugno, avrebbe raggiunto la cifra del +11,5 miliardi) continuano crescere anche le entrate fiscali che sempre a maggio sono cresciute del 7,1% ovvero, in termini assoluti, di 2,9 miliardi.

Da qui, la constatazione che – in realtà, allo stesso tempo è una verità sacrosanta – anche se al momento i fondamentali economici tricolori continuano a reggere, il vero problema italiano è rappresentato dalla pressione dei conti pubblici che mette a rischio la sostenibilità del rapporto debito/Pil. Né si sa se, e quando, sarà possibile uscirne. Di certo, non prima del 2027. Intanto perché – i grillini possono continuare gloriarsene in eterno, ma la verità è questa – il Superbonus, sulla base dei dati più aggiornati, nel momento in cui sarà incassato si trasformerà in debito pubblico, riducendo, le entrate fiscali di 30 miliardi annui per il triennio 2024-26.

E speriamo non ci siano altre sorprese e che dal 2027 cominci effettivamente ad allentare la presa. Senza dimenticare, poi, il peso del fabbisogno del settore pubblico e che l’Ue ha ribadito – tenendo conto dei dati economici e la necessità di avere disponibilità di maggiori riserve finanziarie in caso di difficoltà – per tutti la linea restrittiva e il ritorno alla rigidità sui conti pubblici per il 2025. Speriamo bene.

Anche perché – e non si tratta di una notizia entusiasmante per noi, anzi – la Von der Leyen, con il «sì» di FI, Pd, «Euroverdi», Volkspartei e nonostante 53 franchi tiratori, è stata riconfermata alla guida della commissione Ue. Risultato che non tiene conto della volontà di cambiamento espressa dagli elettori il 9 giugno e lascia tutto com’era prima del voto, anche per quanto riguarda green deal e migranti.

La grande ipocrisia

Il che mentre da una parte conferma che l’Ue è soltanto una sovrastruttura per la quale i cittadini, contano poco o niente e dall’altra la grande ipocrisia di Pd e «affini» che in Italia pretendono le dimissioni di Toti anche se nella vicenda che lo riguarda non c’è ancora alcuna chiarezza, a Bruxelles riconfermano la fiducia alla Von der Leyen appena sanzionata dalla Corte di Giustizia Ue – dando ragione, a cittadini ed eurodeputati che avevano fatto ricorso – per non aver garantito libero accesso al pubblico ai contratti per la fornitura dei vaccini anti-Covid per oltre 2,7 miliardi di euro che la Commissione ha negoziato per conto dei 27 Stati membri. Ma incurante delle accuse, la neo riconfermata per rinfrancarsi delle fatiche elettorali, «se n’è andata in vacanza».

E la sinistra festeggia un’altra vittoria da cavolo a merenda, provando a insaporirla annunciando la resa dei conti nel centrodestra, la Meloni fuori dai giochi e l’Italia isolata. Già cosi emarginata che – nonostante il «no» di FdI alla riconferma – ha portato a casa ben 545,7 milioni (15,3% del totale complessivo) per 16 interventi di infrastrutturazione della rete dei trasporti, fra cui la Tav e 25 milioni per la progettazione esecutiva della parte ferroviaria del Ponte sullo Stretto.

 

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