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Anche i fringe benefit sono stati oggetto della Manovra 2024, introducendo alcune novità. Prima di entrare nel dettaglio, balza subito all’occhio che il valore dei benefit accessori aumenterà dai 258,23 euro attuali a 1.000 euro, con picchi di 2.000 euro a vantaggio dei dipendenti con figli.

Altrettanto interessanti appaiono l’innalzamento dei limiti per l’affitto o degli interessi sul mutuo della prima casa.

Sotto la voce fringe benefit ricadono però altre misure, tra le quali i buoni pasto, i rimborsi chilometrici per l’uso dell’automobile privata, l’erogazione di prestiti e, non da ultimo, il trattamento fiscale dei benefici.

Cosa sono i fringe benefit

I fringe benefit sono da considerare benefici che le aziende possono offrire ai propri dipendenti. Paragonarli all’enorme calderone del welfare aziendale rischia tuttavia di essere fuorviante. Quest’ultimo, infatti, è un concetto subordinato a norme che riguardano un’intera categoria di dipendenti mentre i fringe benefit possono essere concordati tra datore di lavoro e singoli lavoratori.

A prescindere da questa precisazione, i fringe benefit sono un’integrazione al reddito del lavoratore erogata non in denaro, bensì in beni o servizi. Tra i più diffusi possiamo elencare:

  • buoni pasto o mensa aziendale
  • automobile aziendale
  • dispositivi tecnologici (computer, tablet, smartphone)
  • appartamenti in locazione
  • borse di studio per i figli dei dipendenti
  • corsi di aggiornamento per i dipendenti
  • convenzioni con esercenti e negozi
  • prestiti con agevolazioni.

Guardando ai fringe benefit con una visione ampia, si possono definire strumenti che incentivano la fidelizzazione del dipendente all’azienda, con conseguente aumento della produttività. Una politica d’impresa di lunghe vedute.

Fringe benefit, le novità del 2024

La grossa novità sui fringe benefit per il 2024 è che verranno estesi includendo anche all’affitto e al mutuo della prima casa. Un tema questo che necessiterà di decreti attuativi appositi e che, per il momento almeno, si delinea tenendo conto – relativamente al mutuo – solo degli interessi e non di tutta la rata.

La concessione di prestiti ai dipendenti da parte di un’azienda introduce una distinzione nella tassazione, così come vuole la legge 145/2023, entrata in vigore a ottobre.

Una legge che distingue tra prestiti a tasso fisso e variabile e che genera una pressione fiscale articolata sulla filosofia secondo cui viene considerato compenso in natura il 50% della differenza tra:

  • l’importo degli interessi calcolato sulla scorta del Tasso ufficiale di riferimento
  • l’importo degli interessi calcolato in base al tasso effettivamente applicato

Proponiamo un calcolo per definire questo passaggio. Supponendo, per esempio, che un dipendente ha ricevuto un prestito di 30mila euro da parte dell’azienda per la quale lavora e supponendo che il Tasso ufficiale di riferimento sia del 3% mentre quello applicato dall’impresa sia del 2%, si ottiene:

((30.000 x 3%) – (30.000 x 2%) x 50% = (900 – 600) * 50% = 150. Il fringe benefit annuo è quindi di 150 euro.

Il trattamento fiscale dei fringe benefit

I fringe benefit vengono considerati secondo due principi, così come cita l’articolo 51 del decreto del Presidente della Repubblica 917/86, ovvero:

  • in base al piano oggettivo nel quale rientrano i beni e i servizi offerti dal datore di lavoro
  • in base al piano soggettivo secondo il quale i beneficiari dei benefici sono il dipendente ed eventualmente i suoi familiari.

Questa distinzione è propedeutica alla valorizzazione dei fringe benefit che viene valutata come segue:

  • nel caso della cessione di prodotti o servizi a titolo di fringe benefit, viene applicato il prezzo medio di vendita, nel caso in cui l’azienda producesse ciò che mette a disposizione dei dipendenti
  • nel caso in cui l’azienda producesse ma non commercializzasse i prodotti o i servizi che concede ai dipendenti e nel caso in cui l’azienda cedesse ai dipendenti beni o servizi che non produce, viene applicato il principio del “valore normale” (il prezzo d’acquisto) così come definito dall’articolo 9 del già citato decreto del Presidente della Repubblica 917/86.

In sintesi, queste differenze servono a garantire un equilibrio nella tassazione dei benefici in natura e, per quanto si tratti di regole di massima, sono applicate al fine di delineare anche i limiti di detassazione che, come detto, salgono da 258,30 euro a 1.000 euro per arrivare a 2.000 se il dipendente ha figli a carico.

L’identificazione del valore dei fringe benefit serve a calcolare come questi formano il reddito del dipendente, perché concorrono al reddito imponibile Irpef nel periodo di imposta se superano

le soglie. Nel caso specifico, relativamente al 2024, la tassazione scatta solo quando i fringe benefit superano la cifra di 1.000 euro oppure – come detto – la cifra di 2.000 euro se il lavoratore ha dei figli a carico.

 

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