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L’ex coniuge titolare dell’assegno di mantenimento nel caso di pignoramento dei beni del partner, non ha diritto ad intervenire nel progetto di distribuzione, predisposto dal giudice dell’esecuzione, per ottenere l’importo capitalizzato dei ratei non ancora maturati. Non si tratta infatti di crediti “inesigibili”, in quanto aventi una precisa scadenza, ma piuttosti di crediti “futuri ed eventuali“, e dunque ancora non esistenti.

Lo ha chiarito la Suprema corte, con la sentenza n. 12216 depositata oggi, accogliendo il ricorso di una banca contro l’ex moglie del pignorato. È stata così cassata la decisione del Tribunale di Brescia che invece aveva disposto la modifica del piano di riparto, condannando l’istituto di credito opposto a restituire alla donna 85.943,36 euro.

Per la Terza sezione civile “il titolare del diritto alla corresponsione di un assegno mensile di mantenimento (per sé o per i figli minori non autosufficienti) riconosciuto con provvedimenti giudiziali emessi nel corso di un giudizio di separazione coniugale o scioglimento del matrimonio, trattandosi di credito che matura periodicamente (di regola: di mese in mese), non può pretenderne direttamente in sede esecutiva il pagamento in unica soluzione, sotto forma di capitalizzazione del relativo corrispettivo economico, alla quale non può in nessun caso provvedere direttamente né il giudice dell’esecuzione, né quello adito in sede di opposizione a quest’ultima”.

“I ratei non ancora maturati dell’assegno di separazione o divorzio – spiega la Corte – non costituiscono crediti attualmente esistenti e semplicemente inesigibili in quanto sottoposti a termine di scadenza, trattandosi invece di crediti futuri ed eventuali, non ancora venuti ad esistenza, il che esclude che con riguardo al mancato pagamento degli stessi possa invocarsi la decadenza del debitore dal beneficio del termine ai sensi dell’art. 1186 c.c.”.

“Anche laddove – prosegue la Cassazione – il coniuge titolare del diritto alla corresponsione di un assegno mensile di mantenimento (per sé o per i figli minori non autosufficienti) abbia iscritto ipoteca sui beni dell’obbligato, ai sensi dell’art. 8 della legge n. 898 del 1970, fino a concorrenza di una somma corrispondente all’importo della capitalizzazione del suddetto assegno, in sede di esecuzione forzata egli può far valere il suo diritto – anche sui beni ipotecati – esclusivamente nei limiti dei ratei dell’assegno stesso già maturati fino al momento dell’intervento nel processo esecutivo e, comunque e nelle forme di legge, fino a non oltre quello in cui – con la distribuzione del ricavato – tale processo si chiude, non pure per quelli di successiva ed eventuale maturazione”.

In altre parole, la legge non consente al titolare dell’assegno di pretendere dal coniuge gravato il pagamento in unica soluzione, sotto forma di capitalizzazione del relativo corrispettivo economico. La corresponsione dell’assegno può avvenire “in unica soluzione”, ai sensi dell’articolo 5 della legge sul divorzio n. 898 del 1970, solo su accordo delle parti e se tale soluzione sia ritenuta equa dal tribunale, vale a dire dietro esplicito riconoscimento giudiziale in tal senso: il che, ovviamente, esclude altresì che sussista un diritto dell’avente diritto alla capitalizzazione dei ratei “maturandi” se tanto non gli è stato accordato dal giudice del merito che pronuncia il titolo esecutivo, giammai potendo allora provvedervi direttamente quello dell’esecuzione o dell’opposizione a quest’ultima.

 

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