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La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza del 21 settembre 2021 n. 25478 (testo in calce) è intervenuta su due questioni di particolare interesse.

La prima riguarda il caso della caducazione di un titolo giudiziale non definitivo, come l’ordinanza di convalida di sfratto successivamente annullata in grado di appello. Ebbene, in tale circostanza, il pendente giudizio di opposizione all’esecuzione si conclude con una pronuncia di cessazione della materia del contendere (e non di accoglimento). Per quel che attiene alla liquidazione delle spese, il giudice dell’opposizione deve seguire il criterio della soccombenza virtuale, valutando la fondatezza (o meno) dei motivi originari di opposizione.

La seconda questione mira a stabilire quale sia il giudice competente a cui rivolgere la richiesta di risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata (ex art. 96 c. 2 c.p.c.). Secondo gli ermellini, tale domanda va proposta, di regola, in sede di cognizione, ossia nel giudizio in cui si è formato il titolo esecutivo. Nel caso in cui quel giudizio non sia più pendente e siano maturate delle preclusioni di natura processuale, la domanda va posta al giudice dell’opposizione all’esecuzione. Infine, nell’ipotesi in cui sussista un’impossibilità di fatto o di diritto alla proposizione della domanda anche in sede di opposizione all’esecuzione, è ammissibile la proposizione in un giudizio autonomo.

La vicenda

La controversia giunta in Cassazione origina da due distinti procedimenti: a) una convalida di sfratto e b) un’opposizione all’esecuzione.

  1. Lo sfratto per morosità veniva convalidato in assenza dell’intimato; avverso il provvedimento di convalida l’intimato proponeva opposizione tardiva che veniva ritenuta ammissibile ma era rigettata dal tribunale. Contro tale decisione veniva proposto appello.
  2. Nel frattempo, gli intimanti procedevano all’esecuzione e l’intimato formulava un’opposizione all’esecuzione, rigettata dal tribunale. Durante tale giudizio veniva eseguito lo sfratto e l’intimato doveva lasciare l’immobile.

La vicenda prosegue perché ambedue le decisioni vengono impugnate

  1. L’esito del giudizio di opposizione alla convalida di sfratto viene ribaltato in sede di gravame e la Corte d’appello dichiara la nullità dell’ordinanza di convalida emessa contro l’intimato.
  2. L’intimato impugnata la decisione sull’opposizione all’esecuzione allegando la decisione sopravvenuta (di cui al punto a) in virtù della quale era venuto meno il titolo esecutivo; il giudice di merito rigetta l’appello e condanna l’appellante al pagamento delle spese dell’opposizione.

Da questa intricata vicenda emergono due questioni che sono rimesse alle Sezioni Unite.

Le due questioni rimesse alle Sezioni Unite

La Suprema Corte si trova a dover risolvere due distinte questioni, la prima delle quale si articola in due ulteriori sotto-quesiti.

1) La prima riguarda la rilevanza della caducazione del titolo esecutivo giudiziale nel corso del giudizio di opposizione all’esecuzione

  • ai fini della decisione da adottare (accoglimento o cessazione della materia del contendere?)
  • e in ordine alla liquidazione delle spese.

2) La seconda fa riferimento all’individuazione del giudice competente ad emettere la pronuncia di risarcimento del danno ex art. 96 c. 2 c.p.c. relativamente ad un’esecuzione promossa senza la normale prudenza sulla base di un titolo giudiziale venuto meno nel corso dell’opposizione all’esecuzione.

Premessa: il titolo esecutivo giudiziale a “caducità intrinseca”

Prima di affrontare ambedue le questioni, gli ermellini ricordano brevemente la funzione del titolo esecutivo. Nel nostro ordinamento, vige il principio “nulla executio sine titulo”, infatti, il processo esecutivo trova il proprio fondamento in un titolo che sia valido non solo nella fase iniziale ma per tutta la durata del giudizio. In particolare, la regola per cui deve sussistere un titolo esecutivo valido sin dal principio non significa che debba sopravvivere continuativamente lo stesso titolo in capo al creditore procedente, essendo sufficiente la presenza costante di almeno un titolo – ad esempio, del creditore intervenuto – che giustifichi la perdurante efficacia del pignoramento originario (Cass. S.U. 61/2014). Il problema dell’eventuale caducazione del titolo esecutivo riguarda quei titoli che, per loro natura, sono soggetti a venir meno per successive vicende verificatesi nel processo di cognizione. A titolo di esempio si pensi:

  • al decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (art. 648 c.p.c.),
  • al provvedimento di convalida di sfratto,
  • all’ordinanza ex art. 186 quater,
  • alla provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado (ex art. 282 c.p.c.)

Nelle ipotesi sopra menzionate, l’azione esecutiva eventualmente intrapresa è fondata su un titolo esecutivo giudiziale a caducità intrinseca, infatti, si tratta di un titolo che è ancora sotto il vaglio del giudice di cognizione. Pertanto, se il debitore promuove un’opposizione all’esecuzione, può capitare che, nelle more, il titolo venga revocato. Ebbene, come si conclude l’opposizione? Vediamo cosa rispondono le Sezioni Unite.

Opposizione all’esecuzione: cosa accade se il titolo viene meno?

Per completezza, gli ermellini ricordano un orientamento risalente nel tempo, ormai abbandonato, secondo cui la caducazione del titolo esecutivo determina l’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione (Cass. 28/1970; Cass. 1245/1973; Cass. 1854/1974). L’evoluzione giurisprudenziale ha condotto a due diverse soluzioni che, però, sono concordi su un aspetto: il venir meno del titolo esecutivo giudiziale in pendenza di opposizione all’esecuzione comporta una pronuncia di cessazione della materia del contendere. Gli orientamenti contrapposti riguardano il regime delle spese processuali relative al giudizio di opposizione all’esecuzione.

I due orientamenti sulla liquidazione delle spese nel giudizio di opposizione

In materia di liquidazione delle spese si registrano due orientamenti.

  1. Il primo indirizzo ritiene che l’opposizione all’esecuzione, in cui sia pronunciata la cessazione della materia del contendere perché il titolo esecutivo è dichiarato decaduto, deve considerarsi fondata. Il debitore opponente, pertanto, non può essere condannato al pagamento delle spese che non possono porsi a carico della parte virtualmente vittoriosa ma vanno ascritte al creditore opposto. Secondo tale indirizzo, non è necessario indagare le ragioni dell’opposizione, in quanto la caducazione del titolo “assorbe” i motivi posti a fondamento (Cass. 12089/2009; Cass. 3977/2012; Cass. 13249/2014; Cass. Ord. 20868/2017Cass. 21240/2019).
  2. Il secondo orientamento afferma che la dichiarazione della cessazione della materia del contendere per la caducazione del titolo non determina automaticamente la fondatezza dell’opposizione. Infatti, il giudizio di opposizione si fonda su motivi autonomi che potrebbero essere diversi da quelli che hanno condotto al venir meno del titolo esecutivo. Pertanto, la liquidazione delle spese non avviene automaticamente a favore dell’opponente, ma deve avvenire secondo il principio della soccombenza virtuale, analizzando l’effettiva fondatezza dell’opposizione a prescindere dalla caducazione del titolo (Cass. 30857/2018; Cass. 31955/2018; Cass. Ord. 1005/2020).

La prima questione: le spese seguono il principio di soccombenza virtuale

La Suprema Corte ribadisce che la caducazione del titolo esecutivo in pendenza di opposizione all’esecuzione porta ad una pronuncia di cessazione della materia del contendere (e non all’accoglimento dell’opposizione). Infatti, il giudizio si conclude in forza di un evento esterno, che matura in altra sede e di cui il giudice dell’opposizione deve prendere atto. Ciò premesso, le Sezioni Unite avallano il secondo orientamento a mente del quale la liquidazione delle spese deve seguire il principio della soccombenza virtuale per le seguenti ragioni.

  1. Il giudizio di opposizione all’esecuzione è basato su specifici motivi e, pertanto, l’opposizione è fondata quanto le ragioni poste alla sua base sono condivisibili. La caducazione del titolo giudiziale avvenuta in sede di cognizione rappresenta un evento esterno rispetto al quale i motivi dell’opposizione potrebbero essere coincidenti o meno. In altre parole “considerando che il titolo esecutivo può venire meno anche per ragioni diverse da quelle poste a base dell’opposizione all’esecuzione, giudicare fondata tale opposizione in un caso del genere equivarrebbe ad accoglierla per motivi diversi da quelli effettivamente proposti; il che risulta disarmonico rispetto alla ricostruzione del sistema”.
  2. Il secondo motivo è di ordine paratico e consiste nello scoraggiare il debitore dal proporre opposizioni strumentali; infatti, se si ponesse sempre a carico del creditore il pagamento delle spese in caso di caducazione del titolo esecutivo si finirebbe per incentivare il debitore a coltivare delle opposizioni anche infondate pur di “lucrare” le spese in caso di venir meno del titolo.
  3. Infine, l’ultima ragione è che seguire il principio della soccombenza virtuale nella liquidazione delle spese del giudizio di opposizione è la regola decisoria più giusta che viene normalmente seguita quando un giudizio termini con la cessazione della materia del contendere (Cass. 6016/2017).

La responsabilità processuale aggravata in generale

I primi due commi dell’art. 96 c.p.c. si occupano di due diverse forme di responsabilità processuale:

  • il primo comma riguarda chi abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave;
  • il secondo comma – che viene qui in rilievo – riguarda la possibilità per il giudice di condannare al risarcimento dei danni la parte che, agendo “senza la normale prudenza”, abbia assunto una delle iniziative processuali indicate dalla norma. Non postula mala fede o colpa grave, essendo sufficiente anche la colpa lieve (senza la naturale prudenza).

L’art. 96 c. 2 c.p.c. menziona “l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata” senza la normale prudenza. La maggior gravità di questa ipotesi discende dalle conseguenze che una simile azione comporta sul patrimonio del debitore.

La responsabilità aggravata (ex art. 96 c.p.c.) rappresenta una forma speciale di illecito la cui regolazione assorbe quella dell’art. 2043 c.c. (Cass. S.U. 874/1984; Cass. 15551/2003; Cass. 13455/2004; Cass. 5069/2010; Cass. 17523/2011). La condanna ex art. 96 c.p.c. presuppone la totale soccombenza della parte, in quanto non è sufficiente una soccombenza parziale (Cass. 3341/1984, Cass. 1341/1991, Cass. 3035/2001, Cass. 21590/2009, Cass. 7409/2016, Cass. 24158/2017).

Ciò premesso, emerge il problema di individuare il giudice competente a pronunciare sulla domanda di responsabilità processuale aggravata.

Il giudice competente ex art. 96 c. 2 c.p.c.: i tre orientamenti

La giurisprudenza di legittimità, in virtù del carattere endoprocessuale dell’illecito, ritiene che il giudice competente sia quello della causa di merito (Cass. S.U. 390/1962). “Se l’illecito, infatti, è di natura processuale ed è connesso allo svolgimento di un’attività giurisdizionale, il logico corollario è che solo il giudice di quella causa sia chiamato ad esaminare il fondamento della domanda risarcitoria”. Tuttavia, il principio di cui sopra non può valere come regola assoluta per varie ragioni. Ad esempio, la domanda va proposta in un giudizio autonomo quando la vicenda processuale non ha consentito la concentrazione, si pensi alla responsabilità da:

Tali ipotesi sono “eccezionali”, infatti, di regola, la domanda va proposta nello stesso giudizio a cui si riferisce la condotta processuale scorretta.

Ciò premesso, nel caso di un giudizio di opposizione all’esecuzione in cui il titolo esecutivo sia venuto meno chi è il giudice competente?

Le soluzioni prospettabili sono tre:

  1. la domanda risarcitoria va proposta solo nel giudizio avente ad oggetto la formazione del titolo esecutivo (nel caso in esame, il giudizio di convalida di sfratto);
  2. la domanda risarcitoria va proposta solo nel giudizio di opposizione all’esecuzione;
  3. la domanda risarcitoria può essere proposta anche in un giudizio autonomo.

La seconda questione: il giudice competente per il risarcimento ex art. 96 c. 2 c.p.c.

Le Sezioni Unite confermano la prima soluzione, ossia la domanda ex art. 96 c. 2 c.p.c. va proposta davanti al giudice della causa di merito, mentre escludono la terza soluzione (ossia il giudizio autonomo) ammessa soltanto non come extrema ratio. La Corte ricorda che l’illecito in discorso è un illecito processuale e solo il giudice di quel processo può valutarlo. Inoltre, in tal modo, si favorisce la concentrazione nel medesimo giudizio e si riduce il contenzioso.

In relazione alla fattispecie in esame, occorre stabilire se la domanda di risarcimento dei danni per aver iniziato o compiuto l’esecuzione forzata “senza la normale prudenza” debba essere proposta, in caso di successiva caducazione del titolo esecutivo giudiziale,

  • nel giudizio che ha ad oggetto la formazione del titolo,
  • nel giudizio di opposizione all’esecuzione.

La Cassazione ribadisce l’impossibilità di stabilire una regola sempre valida stante la varietà della casistica, pertanto, afferma che:

  • in prima battuta, il giudice competente ad esaminare la domanda risarcitoria è il giudice del processo di cognizione, ossia il processo nel quale il titolo esecutivo si forma. 

L’accoglimento della domanda ex art. 96 c. 2 c.p.c. presuppone la soccombenza ed è preferibile che tale decisione sia rimessa al giudice di cognizione. Inoltre, “al giudice dell’opposizione all’esecuzione è di regola preclusa ogni pronuncia di condanna, a maggior ragione a titolo di responsabilità per fatto illecito (e tale è, secondo quanto si è detto, la condanna di cui all’art. 96 c.p.c.)”.

Nondimeno, può accadere che la domanda risarcitoria non sia più proponibile dinnanzi al giudice di cognizione (ad esempio, perché il giudizio si è concluso oppure per preclusioni processuali, si pensi al caso in cui siano già state precisate le conclusioni). In tali circostanze:

Le Sezioni Unite precisano che le due sedi processuali sopra indicate (giudizio di cognizione e giudizio di opposizione all’esecuzione) non sono alternative, ma subordinate. Infatti, il debitore esecutato deve seguire l’ordine indicato e potrà proporre la domanda davanti al giudice dell’opposizione all’esecuzione solo nel caso in cui non sia più proponibile davanti al giudice della cognizione.

Le due ipotesi indicate non esauriscono la casistica, poiché può capitare che:

  • la vittima al momento del compimento dell’iniziativa temeraria di controparte non abbia subito alcun danno (impossibilità di fatto),
  • vi siano preclusioni di carattere processuale che non consentono la proposizione della domanda (impossibilità di diritto).

In tali circostanze, in via del tutto residuale, è ammissibile la proposizione di un giudizio autonomo.

Per completezza espositiva, preme precisare che in caso di esecuzione forzata compiuta in base ad un titolo esecutivo stragiudiziale, ogni contestazione sul titolo deve avvenire solo in sede di opposizione all’esecuzione.

Conclusioni: i due principi di diritto

Le Sezioni Unite hanno risolto due distinte questioni di diritto enunciando i seguenti principi.

a) “In caso di esecuzione forzata intrapresa sulla base di un titolo giudiziale non definitivo, la sopravvenuta caducazione del titolo per effetto di una pronuncia del giudice della cognizione (nella specie: ordinanza di convalida di sfratto successivamente annullata in grado di appello) determina che il giudizio di opposizione all’esecuzione si debba concludere non con l’accoglimento dell’opposizione, bensì con una pronuncia di cessazione della materia del contendere; per cui il giudice di tale opposizione è tenuto a regolare le spese seguendo il criterio della soccombenza virtuale, da valutare in relazione ai soli motivi originari di opposizione”.

In merito alla scelta di seguire il principio della soccombenza virtuale, le Sezioni Unite si dicono consapevoli del fatto che tale orientamento possa apparire come un inutile aggravio a carico del giudice dell’opposizione all’esecuzione, il quale, infatti, deve valutare la fondatezza dei motivi di un’opposizione che, comunque, è destinata a chiudersi. Nondimeno, ad avviso degli ermellini, essa rappresenta la soluzione che bilancia “le ragioni della giustizia sostanziale con la tenuta del sistema nella sua globalità”.

Passiamo al secondo principio di diritto.

b) “L’istanza con la quale si chieda il risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 2, per aver intrapreso o compiuto l’esecuzione forzata senza la normale prudenza, in forza di un titolo esecutivo di formazione giudiziale non definitivo, successivamente caducato, deve essere proposta, di regola, in sede di cognizione, ossia nel giudizio in cui si è formato o deve divenire definitivo il titolo esecutivo, ove quel giudizio sia ancora pendente e non vi siano preclusioni di natura processuale. Ricorrendo, invece, quest’ultima ipotesi, la domanda andrà posta al giudice dell’opposizione all’esecuzione; e, solamente quando sussista un’ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto alla proposizione della domanda anche in sede di opposizione all’esecuzione, potrà esserne consentita la proposizione in un giudizio autonomo“.

CASS., SS.UU. CIVILI, SENTENZA N. 25478/2021 >> SCARICA IL PDF

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