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È possibile avviare un’attività di bed & breakfast in condominio? Bisogna chiedere prima l’autorizzazione all’amministratore o all’assemblea?

Diciamo subito che questo tipo di attività, di per sé, non è vietata e, in termini generali, è consentita anche senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea condominiale, perché attiene all’uso e al godimento della proprietà esclusive.

Non si può sostenere neppure che l’attività in questione violi, di per sé, l’art. 1122 del codice civile, ai sensi del quale «nell’unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio», oppure gli artt. 1102 e 1120 del codice civile, in tema di pari uso delle cose comuni e di stabilità, sicurezza e decoro architettonico dell’edificio.

Bed & Breakfast in condominio: quando si può?

Tali norme costituiscono senza dubbio un limite che il condominio titolare delle attività ricettive deve sempre rispettare; tuttavia, la loro violazione va valutata ed accertata caso per caso, verificando se in concreto l’attività ricettiva del singolo proprietario reca pregiudizi o limitazioni ai diritti degli altri condomini. In tale contesto, al condomino che abbia destinato i locali ad attività di B&B e che la gestisca in proprio, possono essere eccepite, ad esempio:

  • La presenza di eventuali danni alle parti comuni condominiali provocati dall’attività;
  • La presenza di immissioni rumorose intollerabili;
  • Limitazioni o pregiudizio dei diritti degli altri condomini su beni o spazi comuni;
  • Pregiudizi alla sicurezza ed alla privacy.

Capita spesso che l’attività ricettiva venga svolta da una società o impresa titolare utilizzando appartamenti presi affitto all’interno di edifici condominiali. In questo caso, il proprietario delle unità immobiliari rimane comunque responsabile nei confronti degli altri condomini per eventuali violazione delle “regole condominiali” (Trib. Roma, 14/03/2018, n. 5351).

I divieti previsti dal regolamento condominiale

L’avvio dell’attività ricettiva non configura sempre ed automaticamente un pregiudizio per gli altri condòmini. La valutazione di eventuali illegittimità rispetto al regolamento condominiale deve essere effettuata in concreto, così da poter accertare se l’attività oggetto di doglianza – seppur non espressamente vietata dal regolamento – violi le regole condominiali dettate a tutela della tranquillità dei condomini ed il pacifico godimento delle singole unità (Trib. Roma 07/10/2016, n. 18557).

Chiarito che l’attività B&B in condominio è, di regola, consentita liberamente, occorre dire, però, che quasi tutti i regolamenti condominiali contengono delle apposite clausole che prevedono limitazioni o divieti assoluti proprio con riferimento all’esercizio di attività ricettive negli stabili condominiali.

Che validità hanno queste clausole?

La questione va inquadrata nella più ampia materia delle limitazioni all’uso e godimento della proprietà esclusiva previsti nei regolamenti di condominio; materia nella quale la giurisprudenza ha elaborato alcuni criteri-guida per risolvere, di volta in volta, i singoli casi concreti.

Innanzitutto, tali divieti, per essere validamente opponibili ai singoli proprietari, devono essere previsti in un regolamento (o, meglio, in apposite clausole del regolamento) di natura contrattuale. Solo con l’accordo di tutti i proprietari, infatti, è possibile restringere i poteri e le facoltà dei singoli condomini sulle proprietà esclusive o comuni, destinate ad avere effetti (con la registrazione del regolamento nei registri immobiliari) anche per i futuri acquirenti.

La giurisprudenza prevalente inquadra i divieti contenuti nei regolamenti condominiali come vere e proprie servitù sulle singole proprietà. Affinché producano effetti nei confronti dei singoli proprietari e dei nuovi acquirenti, è sufficiente che tali clausole siano richiamate, con adesione, nell’atto di acquisto o che, comunque, il regolamento sia stato oggetto di approvazione da parte dell’acquirente/proprietario. In questo caso, il vincolo scaturisce dalla accettazione delle disposizioni che limitano i diritti dominicali dei singoli (Cass. civ. n. 22582/2016. Con specifico riferimento ai B&B, cfr. anche Trib. Roma 30/03/2021, n. 5492).

È questa, di solito, la prassi seguita nella maggior parte dei casi.

Solo in assenza di adesione o approvazione secondo le modalità sopra descritte, ai fini della opponibilità delle clausole sarà necessaria la trascrizione: «affinché possano essere utilmente opposte le clausole limitative ai nuovi titolari del bene, occorre indicare le stesse in un’apposita nota distinta da quella dell’atto di acquisto ai sensi degli artt. 2659, comma 1, e 2665 del codice civile», non essendo sufficiente la trascrizione dell’intero regolamento (Cass. civ. n. 21024/2016).

Incidendo sul libero esercizio della proprietà esclusiva, eventuali divieti e/o limitazioni contenuti nel regolamento sono di stretta interpretazione e non possono essere interpretati in via estensiva o analogia o comunque in maniera diversa dal loro significato letterale: «I divieti posti dal regolamento condominiale all’uso di beni esclusivi sono di stretta interpretazione e non sono suscettibili di applicazione né estensiva né analogica, in quanto concretanti limitazioni al diritto di proprietà che, in astratto, contempla a favore del suo titolare le facoltà di pieno e libero godimento del bene» (Cass. civ. n. 21307/2016).

Limitazioni alla proprietà esclusiva vanno espresse in maniera chiara, con indicazione specifica delle attività vietate. Se i divieti previsti nel regolamento sono troppo generici, vanno interpretati in maniera restrittiva e, comunque, a favore del singolo proprietario.

In altri termini, i limiti e divieti alla proprietà esclusiva, inseriti nei regolamenti condominiali, devono essere tali da «escludere ogni possibilità di equivoco in una materia che attiene alla compressione di facoltà inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini» ed essere quindi connotati dalla massima chiarezza con riferimento «alle attività ed ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentare intende impedire» (Cass. civ. n. 19229/2014).

I limiti alla proprietà privata nei regolamenti condominiali

I divieti sono formulati nei regolamenti condominiali principalmente in due forme:

a)     mediante elencazione delle specifiche attività vietate;

b)     con riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare (ad esempio: turbamento della quiete, dell’amenità e della tranquillità dei condomini, contrarietà all’igiene, al decoro dell’edificio, ecc. – non escludendo che si possa anche imporre specifiche destinazioni quali attività industriali o commerciali, vendita al minuto o all’ingrosso, ecc.).

Nella prima ipotesi, per stabilire se una data attività sia vietata o meno, occorre verificare se la stessa attività sia espressamente inclusa o meno nell’elenco che, secondo gli insegnamenti della Corte di Cassazione, deve considerarsi tassativo e non suscettibile di applicazioni analogiche o estensive. Nella seconda ipotesi rientrano le norme che precludono l’attività vietata non in sé, bensì in relazione al danno potenzialmente cagionabile alle parti comuni o ai singoli. In questo caso è necessario accertare l’effettiva capacità della destinazione impressa all’immobile a produrre gli inconvenienti che si è voluto evitare nel regolamento.

 

I divieti del regolamento condominiale possono essere superati?

Trattandosi di una clausola contrattuale, l’unico modo per superare il divieto è trovare un accordo con tutti i proprietari dell’edificio condominiale. Attenzione: potrebbe non bastare una deliberazione dell’assemblea (anche all’unanimità) perché, come stabilito dalla Corte Costituzionale, si tratta di materia che va oltre le competenze dell’assemblea. Occorre un vero e proprio “contratto” in cui tutti i proprietari, in deroga al regolamento, acconsentano all’esercizio dell’attività. In alternativa, si potrebbe anche “forzare la mano”, cioè avviare ugualmente l’attività, per poi giocarsi le proprie carte nel giudizio che sicuramente il Condominio, o il singolo condomino, avvierà per chiedere il rispetto del regolamento di condominio. In sede giudiziale, si andrà a contestare la validità e la corretta applicazione del regolamento, alla luce dei principi anzidetti.

 Distinzione tra le diverse attività ricettive

Come abbiamo detto, i divieti e le limitazioni contenute nel regolamento devono dunque essere espressi in modo chiaro ed esplicito e, cosa molto importante, sono di stretta interpretazione, non possono cioè essere applicate in maniera estensiva o analogica. Da qui l’importanza di valutare, caso per caso, se l’attività ricettiva in concreto esercitata o che s’intende esercitare rientri o meno tra quelle espressamente vietate dal regolamento condominiale.

Se, ad esempio, il regolamento condominiale vieta attività incompatibili con l’uso abitativo dell’immobile, allora l’assemblea potrebbe opporsi legittimamente all’apertura di un B&B che, come si dirà tra poco, rientra tra le attività commerciali. Tuttavia, soprattutto nei casi in cui non vi è un elenco specifico di attività vietate, occorre inquadrare esattamente il tipo di attività concretamente svolta, al fine di valutare se la stessa rientri o meno tra quelle vietate. In tale prospettiva, può essere utile avere un quadro generale delle principali caratteristiche delle più diffuse attività di tipo ricettivo.

 

Bed & Breakfast Strutture ricettive gestite da privati in modo professionale, che forniscono alloggio e prima colazione utilizzando parti della stessa unità immobiliare purché funzionalmente collegate e con spazi familiari condivisi. Secondo la più recente giurisprudenza (Cass. Civ. 07/10/2020, n. 21562; Trib. Milano, 22/11/2018, n. 11784; Trib. Milano, 08/11/2018, n. 11275) il B&B è un’attività commerciale di natura nella sostanza para-alberghiera”, quindi incompatibile con l’uso abitativo dell’immobile. I locali adibiti a B&B devono possedere le caratteristiche strutturali e igienico-sanitarie previste per l’uso abitativo dai regolamenti comunali vigenti, nel pieno rispetto delle prescrizioni normative in materia di edilizia, di urbanistica, di pubblica sicurezza e di somministrazione di cibi e bevande. Definizione, caratteristiche e servizi minimi dei B&B sono definiti in maniera puntuale nella legislazione regionale, che ne definisce di solito anche la procedura amministrativa da seguire di avvio.
Affittacamere L’attività di affittacamere (in inglese guest house, casa per ospiti) è una abitazione privata, o parte di essa, adibita all’uso esclusivo degli ospiti; secondo l’orientamento prevalente in giurisprudenza, è del tutto sovrapponibile a quella di B&B, quest’ultima caratterizzata solo per i maggiori servizi resi (Cass. civ. 07.01.2016, n. 109). In particolare, è escluso che l’attività di affittacamere possa assimilarsi all’uso abitativo, dovendo piuttosto essere qualificata come attività commerciale (Trib. Milano, 22/11/2018, n. 11784). In questo senso, l’attività di affittacamere deve essere equiparata all’attività alberghiera, in quanto, sia pure con proporzioni ridotte, presenta caratteristiche imprenditoriali simili, comportando, non diversamente dall’esercizio di un albergo, un’attività imprenditoriale, un’azienda ed il contatto diretto con il pubblico (cfr. Cass. civ. 08/11/2010, n. 22665).
Hotel Sia gli hotel che i B&B sono regolamentati da leggi regionali, che individuano obblighi, caratteristiche e ne disciplinano l’attività. In entrambi i casi, si tratta di un alloggio temporaneo, con la differenza che nel primo caso la proprietà e la gestione fanno capo a società o imprenditori privati mentre nel secondo caso si tratta di proprietari di appartamento che, per un periodo determinato, variabile a seconda dei regolamenti locali, mettono a disposizione singole stanze inserite nella loro dimora o in una loro proprietà. Le stanze messe a disposizione della clientela sono limitate nel caso dei B&B (raramente possono superare le 6 unità), mentre per gli hotel non vi è un vero e proprio limite se non quello legato alle autorizzazioni, alla redditività ed economicità.
Locanda o pensione Rientrano anch’essi nelle attività commerciali di tipo alberghiero. A differenza del B&B, presuppongono, accanto alla messa a disposizione di una camera per l’alloggio, la prestazione di un servizio di ristorazione ben più ampio, esteso al pranzo o alla cena o ad entrambi e non limitato, invece, alla prima colazione. Di conseguenza, tali attività richiedono una dimensione organizzativa ed anche di personale più ampia del B&B, e anche una maggiore frequentazione dei locali da parte dei clienti ospiti.
Casa di riposo per anziani L’attività di accoglienza per anziani configura una struttura ricettiva socio assistenziale qualificabile come di tipo residenziale (e non di civile abitazione), ovvero di un “pensionato”. Le comunità alloggio per anziani devono possedere, accanto ai requisiti edilizi previsti per gli alloggi destinati a civile abitazione ma, per la Cassazione, si connotano anche come strutture a ciclo residenziale, le quali prestano servizi socioassistenziali ed erogano prestazioni di carattere alberghiero.
Casa-vacanza Rientrano di solito nella disciplina delle locazioni ad uso abitativo, in quanto – a differenza dell’attività di affittacamere e B&B – comporta soltanto la cessione del godimento di un locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.), senza la prestazione di servizi aggiuntivi, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno. L’attività di casa-vacanze si differenzia da quelle alberghiera e di affitta-camere o pensione, costituendo un «servizio di tipo santuario, esercitato da un gestore e soggetto a limiti di capienza della struttura ricettiva» (Trib. Roma n. 17745/2016).

 Il Bed & Breakfast rientra nelle attività commerciale ed è incompatibile con le finalità abitative dell’immobile

L’assemblea dei condomini può legittimamente opporsi all’apertura di un bed and breakfast in un edificio condominiale qualora il regolamento condominiale preveda il divieto di esercitare nello stabile attività commerciali.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21562 del 7 ottobre 2020, in cui si afferma che l’attività di affittacamere o B&B deve essere considerata contrapposta alle finalità abitative dell’immobile, mentre rientra in toto nelle attività commerciali, perché assimilabile a quella alberghiera.

Nella sentenza, che ha trovato seguito nella successiva giurisprudenza, la Cassazione precisa che bed & breakfast e affittacamere non possono rientrare nel normale uso abitativo, in quanto per lo svolgimento delle proprie attività, prevedono il pagamento di un corrispettivo per soggiorni più o meno brevi, nonché la somministrazione di prestazioni di servizi personali (pulizia dei locali, fornitura di biancheria da letto e da bagno, ecc.): “Qualora il regolamento condominiale contenga la disposizione che vieti le attività commerciali è illegittimo svolgere l’attività di affittacamere compresa quella identificabile in un bed and breakfast in tutto e per tutto assimilabili alle attività imprenditoriali alberghiere a nulla rilevando le ridotte dimensioni, in quanto non diversamente dall’albergo si configurano come un’attività connotata da una impresa e dal contatto diretto con il pubblico”.

Il divieto deve essere previsto in un regolamento di tipo contrattuale e, per avere effetto, deve essere quindi esplicito e chiaro, riferendosi in modo specifico alle attività di Bed & Breakfast o affittacamere.

I rapporti tra regolamento condominiale e leggi regionali

Dunque, la giurisprudenza è costante nel qualificare i B&B come attività commerciali di tipo sostanzialmente para-alberghiero, di regola incompatibile con l’uso abitativo degli appartamenti eventualmente imposto dal regolamento di condominio di natura contrattuale.

La materia dei Bed & Breakfast è disciplinata in specifiche leggi regionali che molto spesso, anche per favorire l’avvio di questo tipo di attività, dispongono che tale attività non comporta il mutamento della destinazione di uso dell’immobile ai fini urbanistici. Si pone dunque il problema di capire se tali disposizioni possano rendere compatibili i B&B con quei regolamenti di condominio contrattuali che impongono la destinazione degli appartamenti ad uso abitazione civile.

La questione è stata affrontata dal Tribunale di Milano (sentenza n. 11784 del 22/11/2018).

Nella fattispecie, il condominio aveva agito contro una condomina, per aver destinato il proprio appartamento ad attività di B&B, costituendo a tal fine un’impresa individuale. Il regolamento condominiale disponeva infatti che “gli appartamenti dello stabile si intendono destinati ad uso abitazione civile e ad uffici (…)”.

Il Tribunale ha dichiarato l’attività di Bed & Breakfast contraria al regolamento di condominio. A nulla rileva – spiega il Tribunale – la legislazione di carattere pubblicistico richiamata dalla condomina, che disciplina la materia urbanistica. Tale normativa opera su un piano diverso, per cui non incide sulla volontà contrattuale tra privati espressa nei regolamenti di condominio (Cass. civ. n. 704/2015).

La legge regionale – nel caso di specie la L.R. Lombardia n. 27/2015 – che stabilisce che l’attività di B&B non comporta il mutamento di destinazione di uso dell’immobile ai fini urbanistici, «non può in nessun modo interferire con la volontà contrattuale dei comproprietari, con la quale si è voluto escludere ogni modifica della destinazione ad uso abitativo dei singoli piani, proprio in considerazione del fatto che la legislazione regionale, nel disciplinare i rapporti c.d. verticali tra privati e la pubblica amministrazione, persegue finalità diverse, di natura pubblicistica, relative unicamente alla classificazione delle attività. Al legislatore regionale, dunque, non è consentito incidere su un principio di ordinamento civile e, in particolare, sul rapporto civilistico tra condomini e condominio».

 

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