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In tema di reati fallimentari, la Quinta Sezione penale, sentenza n. 7723/2024, traccia un solco tra le vicende della società partecipata al 100% dal comune e la responsabilità del sindaco. Il primo cittadino del municipio, afferma la Cassazione, non risponde del delitto di bancarotta fraudolenta impropria derivante da operazioni dolose poste in essere da una società interamente partecipata per effetto della sola qualifica di legale rappresentante dell’ente pubblico. A meno che, infatti, non vi sia prova della sua qualità di amministratore di fatto, la sua responsabilità sarà configurabile solo in qualità di “extraneus”, concorrente nel reato, a condizione però che sia dimostrato lo specifico contributo fornito al legale rappresentante della società.

La Suprema corte ha così dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Salerno confermano la decisione di secondo grado che, nel 2022, in parziale riforma della pronunzia del Gup (del 2019) aveva assolto per non avere commesso il fatto il sindaco e legale rappresentante del Comune di Eboli (dal maggio 2010 a settembre 2014), dal reato (in concorso con altri) di bancarotta fraudolenta impropria per “operazioni dolose della società Eboli multiservizi s.p.a., di cui il Comune di Eboli era titolare dell’intero capitale sociale”. Società poi dichiarata fallita dal Tribunale di Salerno nel luglio 2015, con l’aggravante di avere commesso più fatti di bancarotta e di avere cagionato un danno di rilevante gravità.

Correttamente, prosegue la decisione, il giudice di secondo grado ha affermato che il sindaco non era amministratore di fatto della società partecipata. L’imputato, nella sua veste di socio, dunque, “non era titolare di poteri impeditivi” dell’evento per il quale era a processo. Del resro, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la posizione dell’ente pubblico è unicamente quella di socio in base al capitale conferito, “senza che gli sia consentito influire sul funzionamento della società avvalendosi di poteri pubblicistici, né detta natura privatistica della società è incisa dall’eventualità del cd. ‘controllo analogo’, mediante il quale l’azionista pubblico svolge una influenza dominante sulla società”.

In definitiva, afferma la Cassazione, “il sindaco, quale legale rappresentante del Comune socio unico, era in rapporto di alterità rispetto al Consiglio di amministrazione della società partecipata: nella sua veste di legale rappresentante del Comune socio, non era titolare di poteri impeditivi dell’evento dedotto in imputazione”.

Dunque, sintetizza la Corte, “non è ravvisabile una responsabilità penale del Sindaco sulla base della mera qualifica rivestita e della coincidenza di legale rappresentante del Comune socio unico della società in house e di rappresentante dell’Ente locale: se non vi è la prova della sua qualità di amministratore di fatto della società partecipata, la sua responsabilità sarà configurabile solo quale extraneus concorrente nel reato a condizione che sia dimostrato in concreto il contributo specifico dallo stesso fornito al legale rappresentante della società”.

È stata poi confermata la responsabilità, per bancarotta semplice, del sindaco della società “1) per la mancata denunzia delle macroscopiche violazioni attuate dagli amministratori della società ed in particolare della inerzia a fronte della mancata convocazione da parte degli amministratori dell’assemblea nella ipotesi di riduzione del capitale al disotto del minimo legale; 2) per l’attestazione, nella relazione al bilancio di esercizio 2013, della conformità alla legge delle azioni deliberate, indicandole come “non manifestamente imprudenti, azzardate o tali da compromettere il patrimonio sociale.” In particolare, conclude, una simile condotta, con il conseguente occultamento delle perdite di esercizio, ha consentito alla società di continuare ad operare accrescendo la esposizione debitoria.

 

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