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Dare credito ai sogni. Per Andrea Limone, 31 anni, è una missione quotidiana. Lui, amministratore delegato di Permicro, la società torinese che da tre anni si occupa di microcredito in tutta Italia, finora ha realizzato il suo e quello di 410 persone. Uomini e donne, per la maggioranza stranieri, che si sono rivolti agli sportelli di Permicro per ottenere un piccolo prestito di fiducia. Piccole cifre, 5.500 euro in media per il credito familiare, 8 mila per quello d’impresa che stanno aiutando centinaia di famiglie a superare la crisi. Il suo progetto, quello del microcredito, nasce da un’idea: includere e non escludere. Ossia coinvolgere nel sistema creditizio tutti coloro che, pur non avendo le normali garanzie richieste da un istituto bancario o da una finanziaria, hanno però bisogno di un piccolo aiuto. E tutto in un solo nome, quello dell’impresa sociale.

«Sociale, etica, ma pur sempre impresa. Perché non siamo una fondazione bancaria, ma una società privata che vive producendo reddito dai prestiti erogati»

Quindi siete una società finanziaria?

 

Più o meno. Perché il nostro è un fine sociale. C’è un aspetto per così dire “speculativo”, ossia il ricavo di utili per garantire l’impresa. E c’è una parte etica e sociale, perché i nostri clienti sono nelle fasce più svantaggiate della società, sono gli esclusi dal grande mondo del credito.

 

Quindi voi intervenite quando le banche chiudono le porte?

 

Non esattamente. Anche noi abbiamo necessità di avere garanzie. Il credito ai protestati non è quasi mai possibile, anche se in un paio di casi siamo riusciti con le adeguate garanzie a erogare comunque il prestito. Diciamo che a differenza di una banca o di una normale finanziaria noi non ci limitiamo ad un analisi della situazione bancaria ed economica del cliente, ma valutiamo anche altri aspetti.

 

Quali?

 

Nel caso del credito d’impresa, ad esempio, valutiamo soprattutto il progetto che si vuole sviluppare. Se l’idea è realizzabile ed è qualcosa di più concreto di un desiderio o il sogno di diventare imprenditori, allora iniziamo con il cliente un percorso comune e lo aiutiamo a sviluppare il suo progetto.

Change happens, foto di adam*b/Flickr

Una sorta di incubatore d’impresa?

 

Sì, anche se non dovrebbe essere il nostro impegno primario. Ma se vogliamo rientrare del credito erogato abbiamo a nostra volta la necessità che il progetto del cliente funzioni. Così continuiamo ad assistere il cliente durante tutto il suo percorso, stiamo in contatto e se necessario possiamo ristrutturare il prestito, ossia adeguare le rate a un momento di difficoltà.

 

E per il credito familiare?

 

Non c’è molta differenza. In entrambi i casi ci informiamo grazie alla rete di associazioni del terzo settore presenti sul territorio. Sono loro spesso a fare da garanti, le coinvolgiamo anche nel momento della stipula del contratto, perché loro conoscono i singoli casi nel dettaglio, sanno quali sono i problemi, le debolezze.

 

Foto di Heart Industry/Flickr

 

Quindi, per capirci, se una famiglia ha bisogno di un credito d’aiuto si rivolge ad una associazione e poi intervenite voi?

Più o meno. Noi abbiamo sedi territoriali a Torino, Milano, Brescia, Bassano del Grappa, Rimini, Firenze, Pescara, Roma, Genova e Bergamo e siamo in contatto con molte realtà del terzo settore sul territorio, dalle associazioni ai gruppi parrocchiali. Presto apriremo anche al Sud: Bari, Palermo e probabilmente Napoli.

 

Per l’impresa si valuta soprattutto la fattibilità e il potenziale del progetto, ma per un credito familiare quali sono le garanzie necessarie?

Innanzitutto quella di avere una reale necessità: i furbi ci sono sempre. Poi la possibilità di pagare le rate. Noi siamo un soggetto privato, non facciamo beneficenza. Ad esempio il sistema del microcredito che fa affidamento sulle fondazioni e i gruppi bancari può permettersi anche di non rientrare della somma. Per noi è una sciagura.

 

E succede?

Su 410 crediti erogati è capitato un paio di volte. In altre, per fortuna poche occasioni, abbiamo invece ritardi e difficoltà di pagamento. Ma nel complesso il sistema funziona. Altrimenti saremmo costretti a chiudere.

Per questo, anche nel caso di un credito familiare, valutiamo con grande attenzione, e anche una volta erogato il prestito continuiamo a monitorare la situazione, andiamo a casa dei clienti, abbiamo incontri con loro. Li aiutiamo a non deludere la nostra fiducia.

 

La selezione quindi è molto severa

 

Moltissimo. In media accettiamo una domanda su otto. Tenga presente che a differenza dei bandi per il microcredito delle fondazioni e dei gruppi bancari che hanno lunghissimi tempi d’attesa, noi eroghiamo il prestito in un paio di settimane. Quindi se pensiamo a una persona che vuole aprire un’attività e deve versare la caparra per l’affitto di un negozio, siamo gli unici in grado di fornire il denaro in tempi così brevi.

 

E quali sono le richieste principali che vi giungono?

 

Dai soldi per l’apparecchio per i denti del figlio, a quelli per affittare la casa, fino all’aiuto per spese mediche, per avviare un’attività, per pagare l’università ai figli. E in tutti i casi cerchiamo di accontentare le richieste.

 

E la clientela? Italiani o stranieri?

Nel caso del credito d’impresa sono per l’85 per cento stranieri. Gli immigrati hanno una maggiore capacità imprenditoriale, hanno l’ambizione di inventarsi un lavoro. Succede soprattutto per chi arriva dalla Romania, dal Senegal, dalla Nigeria, dal Marocco, dal Bangladesh, dall’Ecuador.

 

Più uomini o più donne?

Direi che si dividono equamente.

Microfinance, foto di mckaysavage/flickr

E per il credito familiare?

Qui gli italiani aumentano: sono il 35 per cento. Ma è interessante vedere come anche le nazionalità straniere di modificano. In testa alle richieste ci sono ucraini e filippini, le nazionalità più dedite al lavoro domestico: colf e badanti.

 

Abbiamo parlato di credito, ma a quale prezzo?

 

Ecco, qui ci vuole una piccola spiegazione. Noi eroghiamo piccoli prestiti, in media come detto 5.500 euro per quello familiare e 8 mila euro per chi avvia una nuova impresa. Per questo il peso dei tassi d’interesse sulle cifre stanziate è minimo. Tenga presente che se una fondazione o un gruppo bancario eroga microcredito al 4 per cento, noi dobbiamo farlo al 12. Tassi alti che però hanno un’incidenza minima sulle rate: 4-5 euro a rata, davvero poca cosa. Possiamo farlo perché c’è una norma comunitaria per i soggetti privati che erogano microcredito che consente di sforare i limiti del tasso d’usura.

Microcredito: Lina Limo (sx), Lorenda Millamena (dx), foto di hodag/flickr

Certo che sentire parlare del 12 per cento d’interesse può generare qualche inquietudine.

Tenga presente che la cifra degli interessi è sempre contenuta, stiamo parlando di piccole somme. Ripeto l’incidenza reale su una rata è di pochi euro. Poi noi cerchiamo di scegliere una formula di rientro con il minor numero di rate possibili. Al massimo 36, altrimenti gli interessi non smettono mai di aumentare. C’è chi propone finanziamenti con ‘120 comode rate’ ma consiglio di diffidare. Meglio restituire ogni mese una somma adeguata, piuttosto che rate infinite da 20 euro.

 

In ogni caso il vostro operato risponde a un fine etico e sociale.

Sì, perché chi si rivolge a noi ha realmente bisogno di quel denaro. E in molti casi può essere un bisogno che può cambiare la vita. Quindi tornando ai tassi d’interesse, meglio chiedere quattro euro in più al mese, piuttosto che non erogare il credito.

 

Ma il sistema italiano del microcredito come sta?

Diciamo che è una nicchia del sistema del credito. I numeri sono ancora esigui, sia rispetto ai volumi d’affari delle banche, sia alle reali necessità della società italiana. Poi, problema comune a tutte le imprese sociali, in Italia c’è ancora tanto dilettantismo: ci si affida soprattutto al volontariato e si tralascia l’aspetto manageriale e imprenditoriale, che invece è fondamentale.

 

Lei, seppur molto giovane, ha già una certa esperienza nel settore.

Sì, ho lavorato alla cooperativa di finanza etica Mag2 e poi per Banca etica. Diciamo che tutto il mio percorso di studi è stato improntato su questi temi”.

 

A febbraio Milano ha ospitato Muhammad Yunus, il guru mondiale del microcredito

L’esperienza di Yunus è importante perché ha dato visibilità mondiale al sistema del microcredito. Però quella del Bangladehs è una realtà molto diversa da quella I modelli sono Richard Meyer e Claudio Gonzales Vega, meno comunicatori, ma altrettanto importanti di Yunus. Però non dimentichiamoci che il sistema dei banchi di pegno nato nel Quattrocento non era molto diverso da questo.

 

Il passato che ritorna. Ma il suo futuro, come se lo immagina?

Per quanto riguarda la nostra società, Permicro, spero che continui a crescere, aumentando sempre più la sua presenza sul territorio, che poi è la nostra forza. Il mio futuro? Mi auguro con moglie, e quella c’è già, e dei figli.

 

E nel futuro cosa ci salverà? C’è un modello “sostenibile” al quale affidarci per i prossimi anni?

 

Ci salverà la responsabilità personale. Quella responsabilità individuale che sembra latitare nella nostra società, nel mondo della politica. Prendiamo l’inquinamento: un male grandissimo le cui cause sono da ricercare in parti uguali negli atteggiamenti di tutti. Se ciascuno facesse la sua parte le cose cambierebbero.

 

 

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