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Gli interessi dell’imprenditore lucano sono estesi all’eolico, all’editoria e al settore ricettivo. Ma le sue mosse sono al centro di un’indagine su un’asta finita nelle mire del clan Delli Gatti. E sul suo impero grava l’ombra di un’interdittiva antimafia

AGGIORNAMENTO 21 GIUGNO: La replica di Macchia alla nostra inchiesta

 

La Lucania è una terra nascosta e piena di storie, una terra quasi magica, distante dal centro del potere e dai grandi scandali. Il petrolio arrivato come una manna dal cielo non ha risolto i problemi, anzi per alcuni è stata una iattura e all’ombra di questo sogno energetico una classe politica, che ha visto il reame dei fratelli Gianni e Marcello Pittella agire incontrastato per lungo tempo, ha messo le tende negli anfratti del potere.

 

«La Basilicata non è più la stessa di un tempo», è l’adagio che scandisce un tassista che si inerpica per le strade di Potenza, capoluogo di una regione che a breve si ritroverà al voto con molte incertezze e molti personaggi in cerca d’autore. Tra questi il protagonista in senso assoluto è Donato Macchia, imprenditore del settore eolico, patron del Potenza Calcio, su cui pende sulla testa una brutta storia che è culminata la scorsa estate con gli arresti di 16 persone per i reati di associazione mafiosa e concorso esterno. Donato Macchia è indagato per turbativa d’asta. Sull’intera vicenda, la Cassazione, ha escluso la sussistenza dell’aggravante mafiosa.

 

Dalle intercettazioni dell’inchiesta emergerebbe un patto speculativo tra Macchia e Lorenzo Delli Gatti, esponente, secondo gli investigatori, dell’omonimo clan che domina incontrastato la zona del Vulture Melfese. Il contesto, pur con i paletti fissati dalla Suprema corte, è quello della vendita dei terreni da parte dell’Ismea, l’Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare. Secondo l’accusa, Macchia avrebbe presentato «in modo strumentale, un’offerta economica largamente inferiore al fine di agevolare i Delli Gatti». «Il clan – spiegano i magistrati – aveva in essere una volontà espansionistica dei terreni messi a bando dall’Ismea» e puntava ad aggiudicarsi «un lotto agricolo di circa 47 ettari di terreno a qualche chilometro dall’area industriale di Melfi, con un prezzo a base d’asta di 547.572 euro».

Dalle indagini è emerso che Lorenzo Delli Gatti sarebbe il dominus di tutta l’operazione che non avrebbe avuto l’intento di arricchire l’associazione mafiosa, e Donato Macchia una sorta di esecutore, attraverso una triangolazione. Per realizzare l’affare, infatti, Macchia, con la Versus srl, avrebbe stretto un’intesa con «l’omonima impresa individuale» di cui è formale titolare Vincenza Navazio. Il presidente del Melfi Calcio, Lorenzo Giovanni Navazio avrebbe poi concordato con Macchia, «l’offerta economica al rialzo che avrebbe presentato la Navazio, in modo da garantirsi l’aggiudicazione del lotto fondiario». L’accordo prevedeva però che sarebbe stata l’azienda di Macchia a ottenere di fatto «l’affidamento della conduzione del complesso delle attività economiche sul compendio fondiario oggetto di aggiudicazione».

 

Così il patron del Potenza, avrebbe informato Navazio dell’entità dell’offerta, permettendogli di predisporre la propria. «In violazione delle prescrizioni del relativo disciplinare di gara», avrebbe poi depositato un assegno cauzionale inferiore al 10% della base d’asta per essere escluso dallo stesso pubblico incanto e favorire la partecipazione della Navazio». Una scelta frutto proprio degli «accordi collusivi» con Delli Gatti, scrivono gli investigatori.

 

Del resto l’ascesa di Donato Macchia è densa di interrogativi. Come è riuscito in modo singolare ad acquisire una squadra di calcio e a investire nell’eolico offshore? Dove vanno i proventi delle sue decine di società che nascono e muoiono alla stessa velocità di un fallimento? Oltre al calcio, all’energia e agli affari immobiliari le passioni di Donato Macchia da Filiano, classe 1962, riguardano anche l’editoria e un hotel. L’eclettico imprenditore è anche l’editore de La Nuova del Sud, un giornale che ha avuto un passato assai travagliato fatto di fallimenti e variazioni di contenitori societari e brutte vicende di cambi di direzione. Ma è nel ramo alberghiero che Macchia si è reso protagonista di un’altra vicenda singolare che lo vede contrapposto ad Arsenale spa di Paolo Barletta, un’eccellenza italiana della ricettività. Oggetto del contendere: l’hotel Santavenere di Maratea.

 

La storia ha inizio nel 2020 quando Arsenale Hospitality prende in affitto l’hotel con un’opzione di acquisto a corto raggio. La proprietà è di Pietro Carnevale che controllava tutta la struttura alberghiera con diverse società che versavano in condizioni economiche alquanto precarie e ormai sommerse dai debiti. Carnevale incassa la prima caparra e una decina di anni di affitto anticipato che gli servono per provare a ripianare la propria esposizione debitoria. In un momento, c’è da ricordare, di complessiva crisi economica mondiale (la pandemia era ancora in corso), l’albergatore sembra salvarsi, riuscendo a monetizzare in un settore in perdita.

 

Ma la faccenda si ingarbuglia: nell’agosto del 2021 Carnevale è chiamato al rogito da Arsenale. Non si presenta e qualche settimana dopo procede alla vendita di tutto il suo gruppo al Gruppo Macchia S.p.a. e a Donato Macchia. L’anomalia è nella cifra stabilita, inferiore rispetto a quella che avrebbe potuto ottenere adempiendo ai contratti sottoscritti e tramite la vendita del solo hotel. E invece, con 4 milioni di euro e un pagamento dilazionato che non sarebbe arrivato prima del 2023, Donato Macchia acquista le società di Carnevale. Ma le stranezze riguardano anche la scelta di acquisire tutto in blocco, con debiti per 15 milioni, comprese molte quote che lo stesso Carnevale aveva dato in pegno a terzi.

Arsenale prova a esigere il rispetto degli accordi sulla vendita, mentre Macchia subentra chiudendo l’operazione senza garanzie bancarie, in pochissimo tempo e con ulteriori risvolti curiosi. Negli atti di vendita è riportato solamente l’elenco dei bonifici con l’identificativo numerico, senza alcuna indicazione del soggetto ordinante, del beneficiario e della data di esecuzione. Chi ha davvero pagato per l’operazione di acquisto? Soltanto uno dei rebus di un affare singolare. Un altro riguarda i debiti non pagati che sono diventati oggetto di un pignoramento e potrebbero presto portare alla messa all’asta dell’hotel.

 

Non l’unica nube all’orizzonte di Macchia, la più insidiosa arriva da Roma: ministero dell’Interno. Lì si lavorerebbe a una interdittiva antimafia che colpirebbe le aziende della sua galassia. Un mondo composito che spazia tra vari settori su cui hanno acceso un faro magistrati e funzionari. L’obiettivo è quello di ricostruire la formidabile parabola e la rete di rapporti di un imprenditore che ha fatto shopping in una terra diventata, anche attraverso le sue gesta, l’incredibile incrocio che tiene insieme energia e giornali, accoglienza e pallone.

 

AGGIORNAMENTO 21 GIUGNO: La replica alla nostra inchiesta

 

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