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Sono in tutto venticinque le persone coinvolte nell’operazione “Lockdown”, che ha fatto luce su un sistema di truffe aggravate ai danni dello Stato messo in atto durante l’emergenza Covid. Gli introiti illeciti avrebbero favorito gli interessi economici del clan Santapaola. Tra le persone finite in carcere c’è anche un brigadiere dell’Arma, originario di Napoli ed in servizio nel capoluogo etneo, Paolo Marragony. La polizia di Stato ha eseguito questa mattina, su delega della Procura etnea, dieci misure cautelari cautelari emesse dal Gip del tribunale di Catania a carico di altrettante persone: cinque condotte in carcere ed altrettante sottoposte all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e all’obbligo di dimora nel Comune in cui abitano.

I nomi degli arrestati

Le accuse

I capi di imputazione a loro carico sono: associazione a delinquere finalizzata alle truffe aggravate ai danni dello Stato, indebita percezione di erogazione in danno dello Stato, falso in scrittura privata, falso ideologico in atti pubblici e dovranno difendersi anche dall’accusa di altri reati contro la fede pubblica. Con l’aggravante, per i soli Paolo Marragony, Alessandro Mirabella, Andrea Pappalardo, Michele Adolfo Valerio Pilato e Gabriele Santapaola, “di aver agito anche al fine di agevolare la cosca mafiosa Santapaola-Ercolano”. Oltre ai nomi presenti in elenco, in quanto si tratta di soggetti destinatari di misure cautelari, altre quindici persone sono indagate nell’ambito dello stesso procedimento.

In cosa consiste la truffa

Le indagini sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia ed eseguite in maniera congiunta dal servizio centrale operativo della polizia di Stato e dalla sezione criminalità organizzata della squadra mobile. L’attività investigativa è andata avanti tra il marzo 2021 con intercettazioni telefoniche, telematiche e video. Gli inquirenti hanno raccolto prove a carico delle persone coinvolte in numerosi reati di falso e di indebita percezione di finanziamenti di vario genere, erogati da istituti bancari e garantiti dallo Stato, secondo quanto previsto dal cosiddetto “decreto liquidità”, che fu emanato per fronteggiare i disagi economici legati alla Pandemia. I finanziamenti garantiti dallo Stato venivano erogati sulla base di falsa documentazione, presentata da soggetti che non avrebbero però avuto i presupposti di legge per accedere alla pratica.

Il funzionario di banca, il direttore generale ed il brigadiere dei carabinieri

Tra loro anche il funzionario della banca Unicredit Alessandro Mirabella, ed il direttore generale della Co.Fi.San. Consorzio Fidi 1, Andrea Pappalardo. “Avrebbero promosso ed organizzato – si legge in una nota della questura – l’attività dei sodali Gabriele Santapaola, Alberto Casisi, Paolo D’Angelo, Concetto Massimino, Paolo Monaco, Claudio Nicotra, Michele Adolfo Pilato e Paolo Marragony”. L’ultimo in elenco, in particolare, è un brigadiere dell’Arma in servizio a Catania. Il suo arresto è stato eseguito dalla squadra mobile etnea in piena collaborazione con il comando provinciale dei carabinieri, come precisato da entrambe le parti coinvolte.

Come sfruttavano le agevolazioni del “Decreto liquidità”

Questo il sistema adottato dal gruppo per ottenere finanziamenti illecitamente. Sfruttando anche la semplificazione delle procedure di finanziamento alle imprese ed ai lavoratori autonomi o titolari di partie iva sancita dal decreto Legge n.23 dell’8 aprile 2020 (il cosiddetto “Decreto Liquidità”, gli indagati avrebbero assicurato a beneficiari compiacenti l’accesso al credito, istruendo la pratica con falsa documentazione dei redditi dichiarati.

Le pratiche “guidate” per l’accesso ai finanziamenti garantiti dallo Stato

Un ruolo centrale sarebbe stato rivestito dal direttore generale della Co.Fi.San., Andrea Pappalardo. Sfruttando la sua posizione di rilievo nel consorzio specializzato nel settore sanitario che, attraverso un fondo rischi, garantisce ai soci condizioni favorevoli di accesso ai finanziamenti tramite apposite convenzioni con gli istituti di credito, avrebbe convogliato le istanze prodotte dai vari professionisti verso dirigenti di istituti di credito compiacenti. Alessandro Mirabella, a sua volta, avrebbe assegnato queste pratiche a fidati funzionari della banca. Tra loro ci sarebbe stato Paolo D’Angelo. Che, chiedendo in cambio una somma di denaro, avrebbe approvato le istanze o ne avrebbe consigliato il ritiro nel caso in cui fossero presenti vizi procedurali, così da poter essere ripresentate dopo le opportune modifiche. In questo quadro complesso, si inseriscono i professionisti Adolfo Michele Pilato, Alberto Angelo Casisi,  Claudio Nicotra, Concetto Massimino e Paolo Monaco, questi ultimi due titolari di un’agenzia di disbrigo pratiche finanziarie. Andrea Pappalardo avrebbe coordinato tutte le richieste di finanziamento veicolandole poi ai funzionari di banca e reperendo nuovi clienti, a nome dei quali proporre le richieste di finanziamento garantito. Si sarebbe anche occupato di predisporre la falsa documentazione da allegare alle istanze, per poi riscuotere dai vari beneficiari la sua “parte”, pattuita in precedenza.


I ruoli di Gabriele Santapaola e del brigadiere Marragony

Gabriele Santapaola, noto esponente di rango dell’omonimo clan mafioso e recentemente coinvolto in un’inchiestra antidroga, ed il brigadiere capo dei carabinieri Paolo Marragony, avrebbero collaborato stabilmente con il commercialista Adolfo Michele Pilato, presentando numerose richieste di finanziamento garantito dallo Stato intestate a dei prestanome e corredate da falsa documentazione. Marragony si sarebbe occupato di predisporre le false attestazioni e, nei suoi confronti, viene contestato anche il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico protetto “avendo più volte consultato le banche dati di polizia – scrivono gli investigatori – per finalità diverse da quelle connesse al servizio”. Inoltre, sempre secondo l’accusa, “avrebbe collaborato alla realizzazione delle condotte fraudolente con Gabriele Santapaola, in quanto, oltre a curare i rapporti con i funzionari di banca, si sarebbe occupato della predisposizione della documentazione essenziale per l’indebita percezione del contributo come l’attivazione della partita Iva, la predisposizione della falsa documentazione reddituale ed il suo inoltro telematico, nonché l’apposita attivazione di un’utenza telefonica e di una casella email nella quale pervenivano le varie comunicazioni bancarie alle quali rispondeva personalmente”.

Il clan lucrava sui finanziamenti

Oltre a Gabriele Santapaola, anche ad Alessandro Mirabella, Andrea Pappalardo, Paolo Marragony e Adolfo Michele Pilato è stata contestata l’aggravante di aver agito per agevolare il clan Santapaola-Ercolano. Gli indagati sarebbero stati pienamente consapevoli che Gabriele Santapaola facesse parte del clan e che i proventi dell’attività illecita sarebbero stati convogliati nelle casse della cosca. Gli elementi acquisiti durante l’attività di indagine sono stati analizzati insieme alla documentazione fornita dalla banca Unicredit, che è risultata totalmente estranea ai fatti, oltre che direttamente danneggiata dai reati che sarebbero stati commessi dai dipendenti Alessandro Mirabella e Paolo D’Angelo. Sarebbero emerse numerose irregolarità nella documentazione di almeno 13 istanze di contributi garantiti. Gli inquirenti contestano quindi l’indebita erogazione di finanziamenti garantiti per la somma complessiva di circa 380 mila e cento euro. Nei confronti dei 10 destinatari delle misura cautelari e di altri 15 indagati ritenuti soggetti compiacenti, per la maggior parte titolari di esercizi commerciali, il gip ha disposto il sequestro preventivo, anche per equivalente, della somma di 380 mila e 100 euro. Oltre al denaro contante, sono stati sequestrati diversi orologi di pregio. Gabriele Santapaola era già detenuto per altra causa ed il provvedimento è stato notificato presso la casa circondariale in cui è attualmente recluso.

 

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