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Economia

di Cristiana Flaminio





Brutti, sporchi e cattivi. E li chiamano pure furbetti. L’Italia è un Paese generoso. Ma coi proprietari di casa lo è solo di livore e veleni. Specialmente nei confronti di chi, qualcosa, pur se l’è sudata e guadagnata. Ma se continua così, il nostro sarà un Paese senza più famiglie proprietarie della loro stessa casa. Perché l’Europa vuole così. E i fondi non aspettano altro che avventarsi sull’ultimo, vero, affare italiano: il mattone.

Nel nostro Paese, da generazioni, s’è imposta l’idea che, se si ha qualche lira in tasca, è meglio investirla nella propria abitazione. Solida, sicura. Avere un tetto sulla testa, anche se le cose vanno male, è sempre meglio che non averlo. Di proprietà, poi, meglio ancora. È la mentalità, ma non diciamolo ad alta voce, che ha fatto grande l’Italia dal boom economico in poi. E difatti è proprio a tanti anni fa che risale la maggior parte delle unità immobiliari che compongono lo stock italiano.

Ma chi sono i proprietari di case oggi in Italia? Le stime catastali dell’Omi e dell’Agenzia delle Entrate, aggiornate al 31 dicembre del 2022 affermano che nel nostro Paese ci sono quasi 78 milioni di unità immobiliari. Di queste, solo poco meno di dieci milioni non generano valore. Il resto, cioè più di 67 milioni di immobili, ha prodotto rendite catastali per oltre 38,3 miliardi di euro. Più della metà di questo immenso tesoro immobiliare è composto da abitazioni. Sono 35,5 milioni.  Seguono, poi, i locali commerciali: sono più di 25 milioni. Ad accomunarli, il fatto di essere intestati, per la stragrande maggioranza, a persone fisiche. Gente in carne e ossa, nomi e cognomi, donne e uomini.  La sproporzione è evidente. Oggi, l’88% delle unità immobiliari italiane appartiene a loro. Quelle che, in burocratese, si chiamano persone fisiche. L’incidenza sale fino al 90 per cento se si prendono in considerazione abitazioni e locali commerciali e si escludono dal computo le unità immobiliari che invece vengono classificate come A10. Si tratta di quelle, per intendersi, adibite a studi o uffici. La stragrande maggioranza degli immobili italiani ha un proprietario con tanto di nome, cognome e codice fiscale. Soltanto l’11 per cento dello stock italiano, invece, rientra nella proprietà di società, enti o persine giuridiche. Si tratta, per lo più, di edifici che hanno natura produttiva. Dai capannoni industriali fino agli ospedali privati, ai teatri e cinema. Spazi che, talora, sono già “prenotati” a progetti di restyling urbano che prevedono, tra le altre cose, la costruzione di nuovi complessi residenziali. Ma questa è un’altra storia.

Brutti, sporchi e cattivi, dunque, questi proprietari di casa. Furbetti, meno. Già, perché le persone fisiche, sulle loro abitazioni, hanno pagato all’Erario, solo nel 2022, qualcosa come 23,3 miliardi di euro. In tasse e altre frivolezze, roba che evidentemente non conta per coloro che ancora pestano il piede sull’acceleratore invocando adeguamenti al catasto o addirittura l’istituzione di (un’altra?) patrimoniale. È (molto) più della metà dell’intera rendita fiscale italiane. Che è stimata in circa 38 miliardi di euro. Un dato in crescita, rispetto all’anno precedente, dello 0,5%. In soldoni, è proprio il caso di dirlo, si tratta di 237 milioni di euro in più. Ma non è finita qui. Se per gli italiani la casa è sempre stata il salvadanaio per eccellenza, lo Stato, e gli enti locali, la hanno presa per un bancomat. Soltanto di Imu, gli incassi hanno sfiorato i 21 miliardi di euro. Di Irpef, grazie anche all’inasprimento delle aliquote per quelli non locati, sono arrivati in cassa quattro miliardi e mezzo. Solo di cedolare secca, al Fisco sono arrivati 3,1 miliardi. Tra Iva, imposte di registro e ipoteche, l’Erario ha incamerato la bellezza di 12,3 miliardi. Finita qui? Manco per sogno. L’imposta di successione ha garantito allo Stato un altro miliardino pulito pulito. Nel breve volgere di un anno, a conti fatti, le casse pubbliche si sono ritrovate – rispetto al 2021 – un miliardo intero in più. Adesso sarà finita. No. Perché c’è la Tari. Che, da sola, vale qualcosa come undici miliardi, euro più euro meno.

Brutti, sporchi e cattivi. E anche fessi. Dal momento che si prendono la nomea di furbetti ma ogni anno devono scucire miliardi su miliardi. Soldi che finiscono dall’Italia in Europa. Quella stessa Ue che vorrebbe cancellarli, definitivamente, trasformandoli da proprietari a casa loro in inquilini. Magari di serie B. Senza nemmeno la consolazione di poter litigare per la caldaia centralizzata, con un amministratore di condominio sostituito, chissà, dall’algoritmo di chissà quale intelligenza artificiale.


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