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La grave crisi economica genera allarme per l’usura e la capacità delle mafie di acquisire, con il prestito illegale, imprese, attività economiche, patrimoni. Sono necessarie riflessioni accurate. Innanzitutto l’usura è fortemente cambiata. È opportuno distinguere l’usura praticata verso i poveri, da quella rivolta agli impoveriti. La prima si concretizza nelle poche centinaia di euro utilizzate dall’usurato per mangiare, pagare bollette, affitti e spesso per “azzardopatia”. La seconda si rivolge a famiglie, piccole imprese familiari, commerciali e artigiane. Si tratta di soggetti che avevano un tenore di vita dignitoso e avevano accumulato un piccolo patrimonio, cioè la casa, il negozio o il laboratorio, spesso acquistati con un mutuo. L’usura verso i poveri non consente grandi guadagni. È un’usura di vicinato o gestita dal piccolo usuraio affiliato alla malavita. È l’usura praticata verso gli impoveriti che dà importanti guadagni. Uno strumento moderno utilizzato dai clan, dai loro prestanome, da speculatori non mafiosi, sono i patti commissori che, sebbene vietati dalla legge, vengono utilizzati a copertura del pagamento del debito contratto nel termine fissato. Molte proprietà vengono trasferite, dalle vittime dell’usura agli strozzini, quando il bene è posto a garanzia dell’adempimento inevaso. Compiacenti professionisti si prestano a questo gioco mascherando in atti ad hoc scambi patrimoniali i cui valori, in realtà, sono asimmetrici tra le parti. Un’altra strategia fortemente praticata dai clan, in assenza di qualsiasi controllo (non viene nemmeno richiesta l’adeguata verifica) è l’intervento diretto nelle aste immobiliari. Anche in questo caso possono essere acquisiti patrimoni, magari singolarmente piccoli ma che, se considerati nella ripetitività e accumulo dei casi, diventano consistenti. È sempre più frequente nei sequestri di beni a cosche malavitose trovare centinaia di immobili. L’usura verso gli impoveriti permette anche il controllo e l’acquisizione di piccolissime, piccole e medie aziende, ambito ideale per riciclaggio, evasione fiscale, truffe ai danni dello Stato e ai privati.

La spoliazione degli impoveriti è gestita dalle grandi cosche mafiose e, talvolta, al Nord anche dai grandi evasori fiscali che ripuliscono così i capitali accumulati oltre frontiera. Già fortemente presente prima della pandemia, ora sta dilagando con intensi cambi di proprietà. In una intervista a EconomyMag l’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti sosteneva che «ci sono soggetti mafiosi che prestano denaro a tasso legale, cioè si fanno banca, ma con la certezza di riuscire a recuperare il loro credito. La crisi bancaria, dunque, ha rafforzato ancora di più l’economia criminale perché i soggetti economici sono costretti a rivolgersi a canali alternativi. L’imprenditore deve sopravvivere e se non riesce a ottenerlo dalle banche, si rivolge al credito mafioso». L’attuale procuratore Cafiero De Raho, riprendendo il tema, ha dichiarato che «il racket e l’usura consentono ai clan di rinunciare agli interessi sul pizzo, puntando direttamente all’acquisizione di intere attività economiche e imprenditoriali. Un inquinamento illecito galoppante. Favorito dal sistema creditizio che spesso finisce col portare le banche a chiudere i serbatoi senza lasciare scelta al piccolo risparmiatore». L’esplosione del capitalismo finanziario sta impoverendo tutti, tranne le cosche mafiose e gli speculatori. Ora, in Italia, l’accesso al credito illegale è quasi una necessità. A differenza del resto d’Europa, c’è una massa ampia di famiglie e piccole e medie imprese escluse dal credito. Da elaborazioni basate su dati Bankitalia, si evince che prima della pandemia, i debitori bancari erano due milioni di persone. Aggiungendo i fideiussori, i componenti del nucleo familiare equalche dipendente delle microaziende, il dato verosimilmente sale a otto milioni di persone che sono escluse da ogni normale rapporto creditizio. È la conseguenza di una particolare malvagità delle banche italiane o c’è qualcosa che non funziona anche a livello legislativo? Quali norme possono essere utili per prosciugare questo bacino di coltura del prestito malavitoso? In Francia, ogni anno, 100mila famiglie e piccole imprese vengono esdebitate: alla fine del procedimento tutti i debiti vengono cancellati. Famiglie e imprese possono quindi riavere una loro dignità creditizia e contribuire alla ricchezza del Paese. In Italia, ogni anno, 100mila famiglie e piccole imprese vedono la loro proprietà immobiliare andare all’asta, per essere svenduta a un terzo del suo valore, restano debitrici a vita, escluse dal mercato creditizio, clienti potenziali del credito malavitoso. Gli esdebitamenti in Italia non arrivano al 5% di quelli che vengono attuati in Francia. È dunque necessaria un’attività di prevenzione e di repressione, ma è altrettanto fondamentale prosciugare, tramite apposite norme sull’esdebitazione, peraltro esistenti in tutta Europa, il bacino di coltura del credito malavitoso. In questi giorni, è stato presentato un emendamento dal senatore Pesco che ha raccolto il sostegno di esponenti anche di altri partiti e di un folto gruppo di magistrati appartenenti alla Cassazione e alle sezioni fallimentari di molti tribunali italiani. Occorre intervenire con modifiche sulla legge 3 del 2012, anticipando alcune più efficaci soluzioni normative, già approvate dal Parlamento. Considerare l’indebitamento come fatto dell’intero nucleo familiare, piuttosto che individuale. Una maggiore responsabilizzazione dei finanziatori perché subiscano penalizzazioni nei casi di concessione imprudente del credito. Una disciplina ad hoc in materia di contratti di cessione del quinto. La possibilità dell’esdebitazione automatica, essenziale per consentire ai debitori una ripartenza, anche se non tutti i debiti pregressi sono stati pagati. Vogliamo contrastare l’usura? E allora esdebitiamo le famiglie, rimettiamole nel ciclo economico, si diffonda il microcredito, verifichiamo la condizione patrimoniale dei soggetti che acquistano alle aste immobiliari, riformiamo la legge 108 del 1996 in cui particolarmente l’articolo 14 ha fallito gli obiettivi perché le provvidenze, concesse senza adeguata istruttoria tecnica, hanno prodotto un tasso di insolvenza dei beneficiari che sfiora il 100%.

Giacomo Di Gennaro
*dipartimento di Scienze Politiche
dell’università Federico II
Giovanni Pastore
*Favor Debitoris

 

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