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Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Pianeta 2030 mensile in edicola con il Corriere della Sera il 27 aprile. Lo proponiamo online con altri servizi (che trovate nel ‘Leggi anche’) tratti dallo stesso numero, per i lettori di Corriere.it

Termineranno il 5 giugno le aste per l’assegnazione dei terreni coltivabili. In vendita ci sono 19.800 ettari sparsi in tutta Italia. Le modalità di partecipazione e le caratteristiche dei terreni sono specificate nel sito di Ismea dedicato all’operazione (leggi qui). Esempi? Ad Alessandria sono disponibili cinque appezzamenti per totali sessantasei ettari, altri cinque a Oristano per sessantadue ettari. A Bologna salgono a dieci per totali duecentoquarantatre ettari. A Grosseto sono ben ventidue e coprono 815 ettari. A Terni disponibili due ampi lotti per trecentosette ettari. A Matera si fa sul serio: 1.825 ettari dislocati su cinquantasei terreni. E pure Caltanissetta non scherza: 1.374 ettari per quarantacinque appezzamenti.

Gli ettari inutilizzati e messi in vendita in tutta la Penisola sono pari a 20mila campi di calcio. L’obiettivo è riportarli a frutto, recuperare colture e salvarli dagli incendi, puntando sui giovani e sull’autosufficienza futura

«Si tratta di uno strumento di mobilità fondiaria», dice Donato Rotundo, direttore Area Sviluppo sostenibile e innovazione di Confagricoltura. Il progetto è giunto alla quinta edizione. «Il valore dei terreni su base d’asta è di circa 312 milioni di euro il cui ricavato sarà destinato a sostenere gli investimenti dei giovani imprenditori agricoli». I terreni disponibili non sempre riescono a trovare subito un proprietario. «Nella sessione attuale, 269 appezzamenti sono al secondo tentativo di aggiudicazione e 60 al terzo. Inoltre, novantacinque terreni sono al quarto tentativo, in questo caso una opportunità, essendo ammesse offerte libere al ribasso», dice Fabio Del Bravo, responsabile Servizi di Sviluppo Rurale Ismea. I risultati ottenuti fino ad oggi sono incoraggianti. «Sono stati rimessi in circolo 349 terreni per un totale di tredicimila ettari. L’attenzione è verso gli under quaranta che hanno la possibilità di pagare le terre acquistate a rate con un piano di ammortamento fino a trent’anni», specifica Del Bravo. Per agevolare l’incontro tra domanda e offerta, nel 2016 è stata istituita la Banca Nazionale delle Terre Agricole (legge n.154 del 28 luglio). «Sono stati rimessi nel circuito produttivo appezzamenti spesso sottoutilizzati riservando condizioni di favore ai giovani e favorendo così l’entrata nel settore di forze più propense a innovatività e tecnologia». (continua a leggere dopo i link)

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Situazione a rischio

La situazione del comparto agricolo non è però idilliaca. I cambiamenti climatici, la crisi idrica, il prezzo alle stelle dei carburanti e dei fertilizzanti e le conseguenze della guerra russo-ucraina, stanno costringendo gli imprenditori a rivedere budget e strategie. «Nell’Unione Europea rischiamo di perdere cinquantasei milioni di ettari di coltivazioni», dice Rotundo. E nel paniere c’è anche l’Italia. Secondo uno studio sviluppato dalla commissione Agricoltura del Parlamento Europeo, nel Belpaese sono «a rischio alto e molto alto il quaranta per cento dei terreni in un panorama già di per sé difficile. Dal 1990 ad oggi si è perduto quasi il venti per cento di superficie agricola utilizzata». Dal 2000 al 2016, ad esempio, sono sfumati 126 mila ettari per anno. Le cause? L’espansione delle aree urbanizzate, la tendenza all’inurbamento delle nuove generazioni, la cessazione delle coltivazioni nelle aree meno produttive e la scarsa competitività delle piccole aziende. A tutto questo va aggiunto un fenomeno ancora in corso. «La natura si è impadronita dei terreni incolti e negli ultimi cinquant’anni la superficie forestale nazionale è raddoppiata. Un aspetto non del tutto positivo. Lasciati senza cura e senza controllo, terreni e boschi sono più soggetti al pericolo di incendi con perdita di valore paesaggistico e aumento dei rischi idrogeologici».

Metodo “fai da te”

La pandemia da Covid-19 e il conflitto ucraino hanno evidenziato criticità da tempo irrisolte. Per decenni è stato inseguito un sistema produttivo basato sul valore di mercato più basso. La globalizzazione, considerata una panacea, è adesso sul banco degli imputati. Con la difficoltà a rifornirsi sui mercati esteri, si torna a guardare a quello interno, scoprendo quanto sia difficile fare da sé. «Utilizzare subito 200 mila ettari messi a riposo. E nel medio periodo arrivare fino a 1 milione di ettari, considerando anche i terreni non coltivati o abbandonati. Così potremo far fronte alle carenze di mais e grano», ha dichiarato Ettore Prandini presidente di Coldiretti in un’intervista a Michelangelo Borrillo per il Corriere. Una misura provvisoria che potrebbe avere effetti positivi solo su girasoli e granturco la cui semina è a inizio primavera, mentre per il grano bisogna aspettare l’autunno. Il metodo “fai da te” eviterebbe comunque di importare da Usa e Canada materie prime prodotte utilizzando glifosati, vietati in Italia. Secondo Prandini, per raggiungere l’autosufficienza sarebbero necessari sei o sette anni. Insomma, ad oggi l’Italia dipende dalle importazioni.

Ricambio generazionale

Come agire? «Nei prossimi mesi Ismea dovrebbe rilanciare i bandi finalizzati al primo insediamento dei giovani», dice Rotundo. Il fine è molteplice. «Favorire il ricambio generazionale, rivitalizzare le economie rurali locali, ammodernare le imprese e recuperare terreni coltivabili ». Stiamo assistendo alla fine della globalizzazione? «Sicuramente siamo di fronte a scelte importanti che andranno a riconsiderare alcuni aspetti della globalizzazione, esponendo meno il nostro Paese alla dipendenza dai mercati esteri. Con la crisi ucraina ci si è resi conto di quanto strategica sia la produzione agricola e che è necessario porre maggiore attenzione alle questioni legate all’autoapprovvigionamento, al miglioramento delle rese e della produzione, all’innovazione tecnologica e agli investimenti, compresi quelli energetici, come chiave risolutiva per affrontare le varie sfide dell’Agenda globale: dalla food security alla necessità di fronteggiare i cambiamenti climatici e di mitigarne gli effetti».

 

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