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Il mediatore non ha diritto alla provvigione se la proposta irrevocabile d’acquisto non è seguita dalla sottoscrizione del contratto preliminare.

La Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7781/2020, ha avuto modo di tornare a pronunciarsi in ordine alla possibilità o meno, per un agente immobiliare, di ottenere la propria provvigione nel caso in cui, alla sottoscrizione di una proposta irrevocabile d’acquisto tra promissario acquirente e promittente venditore, non sia seguita la conclusione del preliminare di vendita.

La questione sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità nasceva dalla vicenda che aveva visto come protagonista un’agenzia immobiliare, la quale, dopo che nel corso del proprio incarico era stata sottoscritta soltanto una proposta irrevocabile d’acquisto, poi non seguita dalla conclusione di un preliminare di vendita, aveva citato in giudizio i proprietari dell’appartamento della cui vendita era stata incaricata, al fine di ottenerne la condanna al pagamento della provvigione maturata in forza dell’incarico ricevuto.

L’istanza attorea veniva, tuttavia, disattesa sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello. In particolare, i giudici di secondo grado evidenziavano come la sottoscrizione di una proposta irrevocabile d’acquisto non integrasse la “conclusione dell’affare” a cui l’art. 1755 del c.c. ricollega la nascita del diritto del mediatore alla provvigione. Secondo loro, infatti, la suddetta offerta non poteva essere qualificata come un contratto preliminare di compravendita, poiché perseguiva il solo scopo di fissare gli accordi di massima già raggiunti dalla parti, nella prospettiva, però, della sottoscrizione di un contratto preliminare in un momento successivo, la cui data, peraltro, era già stata fissata dagli stessi contraenti. La stessa Corte territoriale evidenziava, poi, come, proprio nell’atto di conferimento dell’incarico all’agenzia, fosse contenuta una clausola che collegava espressamente il diritto alla provvigione alla stipula del preliminare.

Rimasta soccombente, l’agenzia immobiliare ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, essenzialmente, la violazione e falsa applicazione degli articoli 1754, 1755, 1326 e 1362 del Codice Civile. Secondo il ricorrente, i giudici d’appello avrebbero errato, innanzitutto, nel qualificare la proposta d’acquisto come una minuta o un accordo di massima, in quanto la stessa, a suo avviso, costituiva già un accordo vincolante tra le parti sulla base dello schema propostaaccettazione.
Quanto, poi, al fatto che l’atto di conferimento dell’incarico contenesse una clausola che prevedeva la contestualità tra il versamento della provvigione e la conclusione del preliminare, il ricorrente evidenziava come, sulla base dei canoni di buona fede nell’esecuzione del contratto e di conservazione degli effetti del negozio giuridico, il riferimento al requisito della conclusione del preliminare dovesse ritenersi soddisfatto dall’accettazione della proposta d’acquisto, costituendo, così, questa la “conclusione dell’affare”.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Secondo gli Ermellini si deve, innanzitutto, considerare apodittica l’affermazione della ricorrente, in base a cui l’applicazione dei criteri ermeneutici della buona fede e della conservazione degli effetti del negozio avrebbe dovuto indurre la Corte d’Appello ad attribuire, alla clausola che ancorava il pagamento della provvigione alla sottoscrizione del contratto preliminare, il significato di far sorgere il diritto alla provvigione anche in mancanza della stipula del preliminare.

Per quanto riguarda, poi, il momento in cui sorge il diritto del mediatore alla provvigione, la Suprema Corte ha richiamato il suo più recente orientamento in materia, in base al quale, considerato che il diritto del mediatore alla provvigione deriva dalla conclusione dell’affare, affinché esso sorga non è sufficiente un accordo preparatorio, destinato soltanto a regolamentare il successivo svolgimento del procedimento formativo del programmato contratto definitivo. Alla luce di ciò, i giudici di legittimità hanno, pertanto, evidenziato come la Corte d’Appello abbia correttamente fatto riferimento al principio di diritto in base al quale “Al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. Va invece escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un “affare” in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare, come nel caso in cui sia stato stipulato un patto di opzione, idoneo a vincolare una parte soltanto, ovvero un cd. “preliminare di preliminare”, costituente un contratto ad effetti esclusivamente obbligatori non assistito dall’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. in caso di inadempimento che, pur essendo di per sé stesso valido ed efficace e non nullo per difetto di causa, ove sia configurabile un interesse delle parti meritevole di tutela alla formazione progressiva del contratto fondata sulla differenziazione dei contenuti negoziali delle varie fasi in cui si articola il procedimento formativo (Cass. Civ., SSUU, n. 4628/2015), non legittima tuttavia la parte non inadempiente ad esercitare gli strumenti di tutela finalizzati a realizzare, in forma specifica o per equivalente, l’oggetto finale del progetto negoziale abortito, ma soltanto ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento dell’autonomo danno derivante dalla violazione, contraria a buona fede, della specifica obbligazione endoprocedimentale contenuta nell’accordo interlocutorio” (Cass. Civ., n. 30083/2019).



 

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