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Nessuna buona notizia dalla legge di conversione del decreto Agricoltura, sulla quale è già stata posta la fiducia, circa la paradossale vicenda delle richieste di restituzione del credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno che si vedranno recapitare le imprese dei settori agricolo e della pesca.

La grave questione, sinora, sembra essere stata presa sotto gamba probabilmente alla luce del fatto che la norma, già presente nel DL 63/2024 sin dalla data di promulgazione, il 15 maggio scorso, non è del tutto esplicita, ma si pone come se desse per scontato che l’obbligo di restituzione, a causa dell’illegittimità dell’aiuto fruito, fosse già noto. Ma così non è. Quanto sin qui asserito si ricava dall’art. 1, commi 6 e 8, del decreto Agricoltura.

Condizioni di fruibilità dell’aiuto e dubbi

L’art. 1 c. 98 L. 208/2015 destina il credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno anche ai comparti della produzione primaria di prodotti agricoli, della pesca e dell’acquacoltura e alle imprese che si occupano di trasformazione e commercializzazione dei relativi prodotti con l’unico discrimine, rispetto agli altri settori produttivi, che l’incentivo venga riconosciuto «nei limiti e alle condizioni previsti dalla normativa europea in materia di aiuti di Stato nei settori agricolo, forestale e delle zone rurali e ittico». Con riferimento all’ambito soggettivo dell’aiuto, gli interventi di prassi hanno tagliato sin da subito gli imprenditori agricoli titolari di reddito agrario. Ma, sin da subito, vi è stato anche il rebus, con riferimento all’ambito oggettivo, relativo all’intensità massima fruibile dell’aiuto. Ciò, in quanto non è mai stato chiarito quale dovesse essere la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato cui attingere.

Sull’argomento sono state presentate all’Agenzia delle entrate almeno tre istanze di interpello che non hanno mai ricevuto risposta. Ciò in quanto le Entrate hanno richiesto un parere all’ex MIPAAF che, almeno ufficialmente, pare non essersi mai pronunciato. Un documento del Dipartimento delle Politiche europee e internazionali del MIPAAF non pubblico, che risale al settembre 2021, chiarisce che «la normativa citata nel secondo periodo del comma 98, art. 1 L. 208/2015 non deve intendersi riferita ai regolamenti che regolano gli aiuti “de minimis”, ma alla normativa generale che regola gli aiuti di Stato, compresi gli Orientamenti dell’Unione europea per gli aiuti di Stato nei settori agricolo e della pesca e ai regolamenti di esenzione in agricoltura e pesca». Il tenore del documento, chissà per quale ragione mai trasmesso all’Amministrazione finanziaria, conferma la condivisibile posizione secondo cui il credito d’imposta Mezzogiorno rappresenta un aiuto di Stato e non un aiuto «de minimis». Oltre al richiamo del comma 98, lo si evince dai commi 99 e 107 del medesimo art. 1 L. 208/2015 che menzionano il Regolamento (Ue) n. 651/2014 valevole in tema di aiuti di Stato per la generalità dei settori. Per di più, la natura di aiuto di Stato è confermata dal comma 102 che ammette la cumulabilità della misura con gli aiuti de minimis «e con altri aiuti di Stato». D’altra parte, per altri benefici fiscali, il legislatore che ha inteso imporre i limiti del regime de minimis ne ha fatto espressa menzione. L’inedito documento, in ogni caso, non indica quali siano i regolamenti comunitari disciplinanti gli aiuti di Stato applicabili.

Le previsioni del decreto Agricoltura

L’art. 1 c. 6 DL 63/2024, sostituendo l’art. 3, comma 6, del D.L. n. 215/2023, concede due anni in più per la notifica di atti di recupero e avvisi di accertamento, i cui termini di scadenza ordinaria sarebbero caduti tra il 31 dicembre 2023 e il 31 dicembre 2025, per il recupero degli aiuti di Stato e degli aiuti di minimis fruiti illegittimamente a causa della mancata registrazione del relativo regime di aiuto nei registri nazionali degli aiuti di Stato, imposta dall’art. 6 c. 10 DM dell’ex Mise n. 115/2017, ad opera delle autorità responsabili. L’ampliamento dei termini di decadenza dall’azione accertativa interessa esclusivamente l’illegittima fruizione degli aiuti, automatici o semiautomatici, causata da tale inadempimento della Pubblica Amministrazione. Si tratta di quegli aiuti non subordinati a provvedimenti di concessione ovvero, se subordinati a tali provvedimenti, di importo non determinabile se non a seguito della presentazione della dichiarazione resa a fini fiscali nella quale sono dichiarati. La registrazione del regime dell’aiuto è propedeutica alla registrazione nei registri nazionali (RNA per la generalità dei settori, SIAN e SIPA per agricoltura e pesca) dell’aiuto individuale che l’impresa espone nel quadro RS dei dichiarativi fiscali. La mancata registrazione dell’aiuto individuale negli appositi registri, secondo l’art. 17 c. 2 DM 115/2017, comporta l’illegittima fruizione dell’aiuto.

A ben vedere è quanto accaduto per il credito d’imposta Mezzogiorno prenotato sino al 2022 dalle aziende agricole e della pesca. Infatti, il successivo comma 8 dell’art. 1 del decreto Agricoltura individua risorse pari a 90 milioni di euro, quali «oneri di cui al comma 6», a copertura delle somme che, a causa della dilatazione dei tempi di recupero del credito d’imposta Mezzogiorno dai comparti produttivi in argomento, non potranno essere introitate nel 2024. Le risorse individuate saranno sottratte alla dotazione di 1.800 milioni che per il 2024 finanzierà il tax credit ZES unica fruibile dalle generalità delle imprese di cui all’art. 16 del D.L. n. 124/2023, senza intaccare la dotazione destinata alla analoga misura per i settori agricolo, della pesca e dell’acquacoltura.

Orbene, l’esigenza del legislatore di individuare risorse per il più lento recupero del previgente bonus Sud fruito da imprese agricole e delle pesca in quel particolare contesto normativo equivale ad affermare che la fruizione dell’incentivo è stata illegittima a causa della mancata registrazione del relativo regime di aiuto da parte delle autorità responsabili. Alla preclusione dell’incentivo agli imprenditori agricoli titolari di reddito agrario, si aggiunge dunque un nuovo problema. Ciò, senza colpa dei contribuenti che hanno fruito del bonus soltanto dopo la conferma della prenotazione da parte dell’Agenzia delle entrate e in assenza di un qualsiasi intervento, normativo o di prassi, che sospendesse la possibilità di invocare l’aiuto come l’art. 1 c. 98 L. 208/2015 consente.

In verità, il rilascio del software 1.0.0 dell’8 giugno 2023 da parte delle Entrate, per la predisposizione del file telematico relativo al nuovo modello con cui prenotare il credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno effettuati nel corso del 2023, il modello CIM23, lasciava presagire qualcosa di negativo. Il nuovo software, utilizzabile fino al prossimo 31 dicembre, infatti, inibisce la richiesta dell’incentivo ai settori agricolo e della pesca. Contemporaneamente al rilascio del software è stata aggiornata la scheda informativa dalla quale si apprende, malgrado l’assenza di qualsivoglia variazione normativa, che l’agevolazione non si applicherebbe «ai soggetti che operano nei settori dell’agricoltura e della pesca e acquacoltura».

Alla luce di quanto statuito dal DL 63/2024, chiarito che è venuto meno uno dei presupposti legittimanti l’aiuto, incuriosisce comprendere, ai fini sanzionatori, se l’Amministrazione finanziaria considererà non spettante o inesistente il credito compensato tenendo conto che le meno gravose sanzioni previste dal decreto sanzioni troveranno applicazione soltanto per le violazioni che saranno commesse dal 1° settembre 2024.

 

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