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In cambio la Ue ci chiede di aiutare 3 milioni di disoccupati a trovare un posto, di questi 800 mila sono collocabili solo passando da un corso di formazione professionale, e proprio sulla formazione verrà spesa la maggior parte dei soldi. A occuparsene, da sempre, sono le Regioni perché conoscono il loro territorio e sanno di cosa c’è bisogno. Nella realtà nessuno si è mai preoccupato di far coincidere la domanda con l’offerta: si sfornano parrucchieri, estetisti e chi fa unghie gel dove servono camerieri; addetti alla segreteria dove servono operatori della logistica e addetti alle pulizie. Lo scorso anno sono stati suddivisi i primi 880 milioni tra le Regioni, che attraverso i loro centri per l’impiego, si sono presi in carico 709 mila disoccupati. A fine dicembre 2022 dovevano essere formate 160 mila persone. Nemmeno una. L’ultimo monitoraggio sull’uso delle risorse è aggiornato al 31 marzo. Ma non contiene notizie sulla formazione legata a Gol.

Le Regioni che non partono

Scandagliando le Regioni una per una, siamo riusciti a trovare sufficienti informazioni per delineare il quadro. A partire per prime con la formazione, alla fine dello scorso anno, sono state la Lombardia e il Veneto. Hanno iniziato anche le Regioni a statuto speciale del Nord, Bolzano esclusa. In Piemonte ed Emilia-Romagna qualche corso è partito. Nel Lazio e in Abruzzo si stanno componendo le aule, come pure in Campania, ma diverse società di formazione dicono che prima di settembre-ottobre i corsi non ci saranno. Le aule non sono ancora state formate in Sicilia e nemmeno in Puglia. In Calabria non si è ancora chiuso il bando destinato alle società che organizzano la formazione. Luce rossa per Marche, Liguria, Sardegna, Basilicata, Molise. Per quel che riguarda i fondi: quelli del 2023 non sono ancora stati assegnati e nemmeno definiti gli obiettivi da raggiungere. L’unico dato raccolto in via ufficiosa sono le 320 mila persone da formare entro quest’anno, a cui si aggiungono le 160 mila del 2022. Ma si metteranno in fila anche i disoccupati che da luglio perderanno il reddito di cittadinanza, e la sola condizione per continuare ad avere un sostegno sarà quella di frequentare un corso.

Esplose le società di formazione

Molte Regioni sanno già che non riusciranno a formare tutta questa gente, specialmente quelle del Sud, dove c’è anche un maggior numero di disoccupati. Il meccanismo di rendicontazione è sul numero di disoccupati formati: la Calabria non riesce a spendere i suoi fondi, mentre il Veneto ne spende di più? I conti a livello nazionale tornano lo stesso, ma i disoccupati della Calabria tali resteranno. In pratica si accetta a monte di penalizzare gli inattivi delle Regioni meno efficienti. I dati certi sono due, il primo riguarda le tariffe definite dall’Anpal: un’ora di corso è pagata mediamente 131 euro, più 90 centesimi a partecipante. Il secondo è il numero delle società improvvisate che hanno fiutato il business della formazione.

A dicembre 2022 in Italia c’erano 12.487 società di formazione, ben 1.463 in più rispetto a dicembre 2018

Gli incrementi maggiori in termini assoluti sono in Campania (+ 333), Lazio (+242), Lombardia (+207), Puglia (+117). Telefonando, elenchi alla mano delle società accreditate per la formazione Gol, per esempio quelle della Campania alcune non rispondono, altre sembra che non sappiano di cosa si stia parlando. Sta di fatto che in via generale i corsi proposti ai disoccupati non tengono conto dei bisogni delle imprese. Sembra impossibile ma è proprio così. Eppure le necessità delle imprese si conoscono.

Domanda e offerta non si incontrano

Solo nel mese di maggio in Italia le aziende

cercano83 mila addetti della ristorazione, 37 mila addetti alle vendite e 20 mila alla logistica, 19 mila operai nelle costruzioni (dati Excelsior Unioncamere). Per Fipe Confcommercio quest’anno mancheranno all’appello 150 mila camerieri e 40 mila negli alberghi. A seconda della categoria, fra il 30 e il 60% di questo personale non si trova. Per Ance nella filiera dell’edilizia per realizzare i progetti del Pnrr serviranno 300 mila persone da qui al 2026. Ma tutto questo alla programmazione di molte Regioni non interessa. E infatti non è mai stato diffuso un solo dato su quanti corsi vengano proposti ai disoccupati ogni anno e per imparare che cosa. Non esiste alcun monitoraggio nazionale, e nessuna Regione indica alle società di formazione quali professionisti devono sfornare, sono al contrario le stesse società a proporre i corsi che hanno a catalogo, e il disoccupato sceglie tra questi.

Regole diverse in ogni Regione

Prendiamo un senza lavoro che si iscrive in un percorso di formazione. L’unico obbligo (altrimenti l’ente non viene pagato) è di non superare un certo numero di assenze (il 25% delle ore). Alla fine gli viene consegnato un attestato di frequenza. Ma se fai un corso per diventare cameriere, qualcuno verifica se sai davvero servire a tavola? Si chiama «certificazione delle competenze». Da gennaio 2023 tutte le Regioni avrebbero dovuto avere un sistema di certificazione; invece, fino al mese scorso ce l’avevano solo Abruzzo, Trentino, Liguria, Basilicata, Piemonte, Lombardia, Lazio Toscana, Emilia-Romagna, Umbria. Ma pure loro lo fanno con protocolli diversi l’una dall’altra. Per dire: negli Usa c’è un solo repertorio delle competenze applicato in tutti gli Stati. In Italia invece un tornitore formato in Lombardia impara cose diverse di uno formato in Emilia-Romagna. Poi c’è la questione dei corsi online. Anche qui ogni Regione decide per sé: in Lombardia ed Emilia-Romagna le lezioni online dei corsi Gol non devono superare il limite del 30%, in Veneto e Liguria si arriva al 50%, il Piemonte non esplicita limiti, mentre Lazio e Puglia escludono i corsi online.

Le falle da tappare

Per raddrizzare questo sistema bisogna tappare almeno sei falle. Vuol dire che la struttura di missione in capo al ministro Fitto deve pretendere dalle Regioni:
1) Una programmazione in base alle richieste delle aziende;
2) Una uniformità nel servizio. Per esempio: la possibilità di un tirocinio extracurricolare retribuito oggi c’è in alcune Regioni ma non è prevista in Lazio, Veneto e Lombardia;
3) Offrire formazione alle imprese che hanno in corso ricerche di personale importanti: ti servono 20 addetti alle vendite? Se li prendi tra i disoccupati li formiamo con un corso ad hoc finanziato da fondi pubblici;
4) Applicare la legge (decreto legislativo 150/2015) che affida all’Anpal, l’Agenzia nazionale delle politiche attive, il compito di intervenire direttamente nella gestione dei servizi in quelle Regioni che non garantiscono i livelli essenziali delle prestazioni;
5) Obbligo di certificare le competenze acquisite a fine corso;
6) Realizzare il Siuf, il Sistema formativo unitario della formazione, già previsto nel decreto di cui sopra, e che non ha mai visto la luce. Si tratta di una banca dati nazionale, del tutto simile al fascicolo sanitario elettronico, dove sono registrati i corsi di formazione certificati fatti da ciascun cittadino.

Senza questi interventi strutturali il finale è già scritto: nel 2025 avremo speso i 4,9 miliardi senza aver cambiato una virgola ad un sistema di formazione professionale che non funziona. E lo ha già dimostrato negli anni. A beneficiarne invece un esercito di enti accreditati e di formatori, che essendo in gran parte docenti o manager un lavoro ce l’hanno già.

 

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