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La Cassazione, nella sentenza n. 28941, depositata ieri, ha precisato che la fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare (ex artt. 216 comma 1 n. 1 e 223 comma 1 del RD 267/42) è un reato di pericolo concreto, in quanto l’atto di depauperamento, nella sua incidenza negativa sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare. Per la prova del reato, quindi, il giudice non può basarsi solo sulla mera constatazione dell’esistenza dell’atto distrattivo in quanto tale, ma deve valutare la qualità del distacco patrimoniale.

È un’interpretazione costituzionalmente orientata del reato in questione a imporre di valutare la rilevanza penale delle condotte e la loro offensività in base all’idoneità ex ante degli atti depauperativi a mettere realmente a rischio la garanzia dei creditori in un ragionevole ambito spazio-temporale (vale a dire nella c.d. zona di rischio penale, da intendersi come prossimità dello stato insolvenza); ambito che, conosciuto dall’agente, dovrebbe orientare ogni sua iniziativa. Questo giudizio ex ante, peraltro, deve attenere sia al momento dell’azione tipica che alla permanenza della medesima situazione fino al momento di apertura della procedura concorsuale.

Sarebbe la sentenza n. 17819/2017 della Cassazione ad avere segnato il passaggio a una giurisprudenza più consapevole di tali caratteristiche della fattispecie, sottolineando come nella ricerca della prova di questo reato non ci si debba “schiacciare” sul profilo del distacco dei beni sociali tralasciando i caratteri propri del distacco medesimo, ossia: il tempo del distacco e la sua qualità oggettiva.

Quanto al tempo del distacco, è da considerare come lontano dalla fase di crisi o di insolvenza, e soprattutto quando l’impresa o la società sono in bonis, è possibile dare a singoli beni le destinazioni che si ritengono utili alla conservazione del valore del patrimonio sociale nel suo complesso, senza che possa essere esasperato il concetto secondo cui l’atto distrattivo rileva in qualsiasi tempo sia stato commesso precedentemente al fallimento; vale a dire che è l’attribuzione di un ruolo centrale alla zona di rischio penale a segnare il passaggio definitivo a una visione costituzionalmente orientata del reato.

Quanto alla “qualità” oggettiva del distacco patrimoniale, si sottolinea come a rilevare sia non solo il suo valore economico reale ma anche la sua concreta idoneità a porre in pericolo la garanzia che la massa dei creditori, al momento del fallimento, sarà in grado di escutere.

Il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare, infatti, ruota intorno ai creditori. A rilevare non è la sottrazione di ricchezza in sé, ma solo quella concretamente idonea a danneggiare le loro pretese, proiettando il tutto su una eventuale procedura concorsuale. Il reato di bancarotta patrimoniale prefallimentare è, quindi, contraddistinto dal pericolo che, ove per qualsiasi ragione si dia luogo a una procedura concorsuale, l’esito della stessa venga condizionato da atti distrattivi che abbiano comunque ridotto il patrimonio disponibile.

Questa linea di pensiero, prosegue la Suprema Corte, non solo è già emersa in non recenti decisioni della Corte Costituzionale (cfr. l’ordinanza n. 268/89), ma trova anche conferma nella giurisprudenza di legittimità in materia di “bancarotta riparata”; giurisprudenza che – nel precisare come l’offensività della condotta di reato, cristallizzata nel momento consumativo coincidente con la dichiarazione di fallimento, sia limitata ai fatti che in quel momento creano un pericolo concreto – ha evidenziato come tali profili non attengano alla punibilità del reato, ma alla sua oggettività (cfr. Cass. n. 28514/2013 e Cass. n. 52077/2014).

È, allora, da rigettare qualsiasi ricostruzione della fattispecie in questione come reato di “pericolo presunto”, ossia come ipotesi criminosa in cui, basandosi sulla mera constatazione dell’esistenza dell’atto distrattivo, ci si affidi a una catena di presunzioni fondate sulla rimproverabilità della esposizione a pericolo del patrimonio per ritenerla provata con l’intervento della procedura concorsuale.

Anzi, è proprio dal rigetto di una simile ricostruzione che è nata l’esigenza di attribuire rilevanza ai c.d. “indici di fraudolenza”. Indici dai quali è possibile desumere, nel singolo caso, l’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo (e del dolo generico).
Indici, tra l’altro, rinvenibili:
– nell’esame della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’impresa;
– nel contesto in cui questa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte;
– nella palese estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale (cfr. Cass. n. 38396/2017).

 

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