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In via preliminare, il giudice leccese rileva come parte mutuataria, sebbene gravata dell’onere probatorio inerente la portata delle pattuizioni intercorse tra le parti originarie del rapporto, non abbia, nella specie, depositato il contratto di mutuo (bensì una copia incompleta del testo dell’atto di compravendita, mediante il quale era stato formalizzato l’accollo, depositata presso l’Agenzia delle Entrate, nonché il piano di ammortamento, che contempla un TAEG pari al 6,131%). Dal tenore dell’atto di rinegoziazione del mutuo medesimo si evince l’indicazione, nel contratto di mutuo, di un TAN pari al 6,20% e la consistenza della rateizzazione dell’esposizione maturata sino al allora in danno dell’attrice. La rilevata assenza del testo contrattuale prefato osta alla possibilità di valutare la concreta sussistenza di una discrasia tra le indicazioni relative ai diversi tassi.

In ordine all’ipotetica assenza di sovrapponibilità tra il tasso applicato e l’ISC/TAEG, il Tribunale salentino evidenzia come tale condizione, anche laddove risultasse effettivamente apprezzabile, non sarebbe comunque idonea a riverberarsi sulla validità della convenzione;  invero, l’ISC esprime in percentuale il costo effettivo di un finanziamento (o di altra operazione bancaria di concessione di una linea di credito), comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinarne la concreta incidenza economica, secondo la formula stabilita dalla Banca d’Italia; di talché, siffatto indicatore, lungi dall’integrare un tasso di interesse o una specifica condizione da applicare al contratto di finanziamento, svolge unicamente una funzione informativa, siccome strumentale a rendere noto al cliente il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi; la sua erronea indicazione, pertanto, non incide sull’ onerosità del finanziamento, ostando unicamente ad un’agevole comprensione del suo costo complessivo e, per l’effetto, non implica un profilo di nullità suscettibile di ricorso al disposto dell’ art. 117 TUB[1].

Ciò rilevato, la prefata difformità (ove sussistente) potrebbe rilevare sotto il profilo della responsabilità precontrattuale, nell’ipotesi in cui venisse dedotto uno specifico danno eziologicamente connesso all’inadempimento dell’obbligo informativo gravante sull’istituto concedente, ipotesi che non risulta attuale nella vicenda in esame.

Il giudice, peraltro, osserva come non sia, del pari, meritevole di accoglimento la contestazione relativa alla paventata usurarietà dei tassi applicati ai rapporti; sul punto, evidenzia come la giurisprudenza di legittimità:

  • abbia negato la rilevanza del fenomeno indicato come c.d. usura sopravvenuta – ritenuta attuale da parte della giurisprudenza di legittimità e di merito sia in relazione ai contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della l. 108/96, che in relazione alle modifiche oltre soglia dei tassi intervenute in rapporti sorti successivamente a tale data precisando che «Allorché il tasso degli interessi concordato tra – 4/6 – mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto»[2]; in adesione alla suesposta opzione ermeneutica, la verifica del rispetto delle previsioni di cui alla l. n. 108/96 deve essere effettuata unicamente con riferimento alla originaria convenzione di tasso, ovvero a quelle successivamente concluse dalle parti;
  • abbia ribadito la strutturale disomogeneità, dettata anche dalla specifica funzione, tra il tasso corrispettivo e quello di mora, precisando che la verifica dell’usurarietà debba essere condotta separatamente rispetto a ciascuno dei suddetti oneri[3];
  • abbia, successivamente, evidenziato che l’accertamento relativo al rispetto delle soglie debba avvenire mediante raffronto da un lato del tasso corrispettivo applicato, costituito dal tasso debitore relativo al momento della sottoscrizione del contratto e dagli ulteriori esborsi funzionali all’erogazione del credito, con i parametri ex n. 108/96 ed, dall’altro, del tasso di mora al tasso effettivo globale medio, aumentato della maggiorazione media degli interessi moratori (2,1%), moltiplicato per il coefficiente in aumento e sommato ai punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dai DM di riferimento[4];
  • abbia, infine, precisato come non siano accomunabili, nella comparazione necessaria alla verifica delle soglie usuraie, voci del costo del credito corrispondenti a distinte funzioni, quali la commissione di estinzione anticipata con gli interessi moratori, siccome non collegati all’erogazione del credito[5].

Nel caso di specie, nella CTP versata in atti, il presunto addebito di oneri feneratizi era stato fondato sulla comparazione tra i parametri soglia ex l. n. 108/96, relativi ai tassi corrispettivi, e il risultato della somma di tasso corrispettivo e di mora; il CTU, all’esito di un’indagine effettuata con metodo scientifico e rigoroso sulla base dei criteri evidenziati dalle prefate opzioni ermeneutiche, come tale passibile di integrale condivisione, ha evidenziato come né il tasso corrispettivo applicato, né, tantomeno, quello che si assumeva convenuto dalle originarie parti del rapporto, né quello di mora abbiano sforato i parametri suddetti.

Infine, con riferimento alla generica notazione inerente al verificarsi di fenomeni anatocistici vietati dall’art. 1283 c.c., in considerazione dell’utilizzo di un piano di ammortamento c.d. “alla francese”, il giudice leccese osserva come, mediante applicazione del metodo de quo, il capitale rimborsato risulti produttivo di un interesse che incorpora anche interessi non ancora esigibili poiché non giunti a scadenza, sicché risulta attuale un meccanismo di capitalizzazione composta; tale notazione, tuttavia, esclude il ricorrere di un’applicazione vietata dell’interesse composto, atteso che il profilo di nullità, ex art. 1283 c.c., cui si riferisce il cristallizzato orientamento della Corte nomofilattica, risulta attuale solo in presenza si interessi occulti computati su interessi già scaduti; con la scelta dell’ammortamento alla francese, al contrario, il contraente opta per un piano di pagamento a rata costante, laddove all’interno di ciascuna rata la quota di capitale e la quota di interessi non sono identiche: gli interessi da corrispondersi sono maggiori nelle prime rate e scendono progressivamente man mano che si procede verso l’ultima rata; il maggior costo del finanziamento rispetto ai metodi in cui le rate sono difformi è, pertanto, ancorato alla presenza della rata costante, sicchè non è riconducibile da un anatocismo vietato[6]. Il ctu, peraltro, ha verificato che le concrete modalità di strutturazione del piano di ammortamento relativo al mutuo in contestazione escludessero il ricorrere di anatocismo in violazione dell’art. 1283 c.c. Alla luce delle notazioni che precedono, le domande articolate nell’atto introduttivo devono trovare rigetto.

 

 

______________________________________

[1] Cfr. Trib. Tivoli, n. 1026/21; Trib. Lecco, n. 246/21; Trib. Roma, n. 15480/20; App. Torino, n. 965/20; Trib. Bergamo, n. 2244/19.

[2] V. Cass. Civ., Sez. Un., n. 24675/2017.

[3] V. Cass. n. 17447/2019.

[4] V. Cass. Civ., Sez. Un., n. 19597/2020.

[5] Cfr. Cass. Civ., n. 8109/2022.

[6] Cfr. Trib. Pistoia, n. 78/23; Trib. Vercelli, n. 53/23; Trib. Sassari, n. 47/23; Trib. Taranto, n. 233/22; App. Venezia, n. 2955/21; Trib. Roma, n. 868/21; App. Perugia, n. 33/21.

 

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