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Le controversie contro gli atti dell’agente della riscossione presentano una peculiarità derivante dalla natura trilaterale dei rapporti che si svolgono con il contribuente e che vedono coinvolti da un lato appunto il contribuente e dagli altri due l’ente creditore che ha formato il ruolo e l’agente della riscossione.
In questo contributo ci soffermeremo sulle questioni che si incontrano quando si affronta la tematica delle liti contro l’agente della riscossione, che sono sostanzialmente tre: l’individuazione degli atti impugnabili; la legittimazione passiva; la competenza territoriale delle Corti di Giustizia Tributaria, strettamente legata al problema della legittimazione passiva.

Gli atti impugnabili

Gli atti che provengono dall’agente della riscossione e che potrebbero determinare l’interesse all’impugnazione davanti ai giudici tributari sono essenzialmente i seguenti:

  1. la raccomandata informativa della presa in carico della pretesa tributaria derivante da un accertamento esecutivo;
  2.  la cartella di pagamento;
  3. l’atto di messa in mora, ex art. 50, D.P.R. n. 602/1973, che deve essere notificato prima dell’inizio delle procedure esecutive, laddove sia decorso oltre un anno dalla notifica della cartella;
  4. il preavviso di fermo amministrativo;
  5. l’atto di intimazione di pagamento che deve precedere l’iscrizione di ipoteca;
  6. l’iscrizione di ipoteca;
  7. il pignoramento presso terzi.

In proposito, vale innanzitutto ricordare come la cognizione delle Corti di Giustizia Tributaria sia delimitata dalla natura tributaria del credito di cui si discute, non potendo le stesse, in ragione dei noti vincoli costituzionali posti all’esistenza di giudici speciali[1], occuparsi di materia diversa da questa[2].

Vale ribadire, pertanto, che in presenza di atti emessi dall’Ader riferibili in tutto o in parte a pretese non tributarie questi non potranno essere contestati, in parte qua[3], davanti alle Corti di Giustizia Tributaria.

Ai sensi dell’articolo 2, D. Lgs. n. 546/1992, inoltre, la cognizione dei giudici tributari è qualificabile in termini di competenza esclusiva per materia e non per atti.

Questo significa che i giudici tributari sono legittimati a conoscere di qualunque controversia avente ad oggetto tributi, a prescindere dagli atti con i quali la pretesa è manifestata.

Vale al riguardo richiamare la oramai consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione[4] a mente della quale l’elencazione degli atti, contenuta nell’articolo 19, D. Lgs. n. 546/1992, non ha natura tassativa e svolge la funzione di individuare i provvedimenti la cui mancata impugnazione determina il consolidarsi della pretesa tributaria.

Accanto a tali provvedimenti, che proprio in ragione di siffatta portata autoritativa determinano un vero e proprio onere di impugnazione, si affiancano gli atti che comunque recano una pretesa determinata nell’an e nel quantum, seppure senza rivestire la forma dei provvedimenti elencati nel suddetto articolo 19, e che pertanto legittimano l’insorgenza di una mera facoltà di impugnazione da parte dell’interessato.

La caratteristica di quest’ultima tipologia di atti è che la loro mancata impugnazione non provoca decadenze ai danni del contribuente che potrà quindi muovere contestazioni nei riguardi del primo atto ricevuto successivamente, riconducibile alla elencazione tipizzata nel citato articolo 19, D. Lgs. n. 546/1992.

In sintesi, quindi, davanti alle Corti di Giustizia Tributaria si può proporre ricorso sia avverso gli atti indicati nel suddetto articolo 19, sia avverso gli atti diversi da questi, recanti comunque una pretesa tributaria definita nell’an e nel quantum.

La differenza tra i primi e i secondi è che la mancata impugnazione dei provvedimenti tipizzati impedisce al contribuente di far valere eventuali vizi degli stessi nei riguardi di atti successivi.

Questa generale (e speciale) competenza per materia delle Corti di Giustizia Tributaria si arresta tuttavia di fronte agli atti dell’esecuzione forzata che restano invece, in linea di principio, nella cognizione del giudice ordinario, ai sensi dell’articolo 2, D. Lgs. n. 546/1992[5].

Vale infine ricordare la nota regula iuris a mente della quale, a parte gli avvisi di accertamento, tutti gli atti successivi ad essi, e dunque a maggior ragione gli atti dell’agente della riscossione, sono impugnabili solo per vizi propri. 

Alla luce di tale sintetico excursus interpretativo, si può quindi procedere a verificare l’impugnabilità dei singoli atti dell’agente della riscossione, ribadendo il limite della natura tributaria del credito con essi fatto valere.

 

Gli atti dell’agente della riscossione
  1. la raccomandata informativa della presa in carico della pretesa tributaria derivante da un accertamento esecutivo;
  2. la cartella di pagamento;
  3. l’atto di messa in mora, ex art. 50, D.P.R. n. 602/’73;
  4. il preavviso di fermo amministrativo;
  5. l’atto di intimazione di pagamento propedeutico all’ipoteca;
  6. l’iscrizione di ipoteca;
  7. il pignoramento presso terzi.

Nessun dubbio sulla impugnabilità del preavviso di fermo e del provvedimento di iscrizione di ipoteca, trattandosi di provvedimenti tipizzati nel sopra richiamato articolo 19, D. Lgs. n. 546/1992.

Non può neppure dubitarsi della possibilità di impugnare tanto l’atto di messa in mora, di cui all’articolo 50, D.P.R. n. 602/’73, quanto l’intimazione di pagamento propedeutica all’iscrizione di ipoteca.

Ciò, in quanto si tratta di atti obbligatori, e quindi tipizzati in disposizioni di legge, e recano una pretesa tributaria senz’altro determinata.

Quanto alla raccomandata informativa della presa in carico dell’accertamento esecutivo, si dubita della sua ricorribilità davanti alla giustizia tributaria[6], ma, seppure in casi limitati[7], si ritiene preferibile la tesi della impugnabilità della stessa.

 

L’impugnazione degli atti di pignoramento

Le norme

controversie agente riscossionecontroversie agente riscossioneLa questione dell’impugnazione degli atti di pignoramento dell’agente della riscossione è stata oggetto di analisi da parte della giurisprudenza di vertice e presenta profili di indubbio interesse sia teorico che pratico.

Per impostarne l’esame occorre prendere le mosse dall’individuazione delle disposizioni interessate.

La norma all’origine dei problemi è l’art. 57 del DPR 602/73.

Questa previsione, prima dell’intervento emendativo della Corte Costituzionale, rappresentato dalla sentenza n. 114/2018, regolava gli istituti dell’opposizione all’esecuzione e dell’opposizione agli atti esecutivi nell’ambito delle procedure di esproprio dell’agente della riscossione, restringendone notevolmente la sfera di applicazione.

In proposito, vale premettere alcune notazioni di estrema sintesi relative ai rimedi processuali di cui trattasi.

L’opposizione all’esecuzione, regolata nell’art. 615 c.p.c., riguarda l’ipotesi in cui il debitore contesta l’esistenza stessa, in tutto o in parte, del credito recato nel titolo esecutivo, avuto riguardo alla sussistenza di fatti costitutivi, modificativi o impeditivi della pretesa in oggetto.

Per espressa previsione di legge, l’opposizione all’esecuzione può involgere anche questioni attinenti alla pignorabilità dei beni oggetto di esproprio[8].

Essa si caratterizza infine per la proponibilità dell’azione senza termini perentori.

L’opposizione agli atti esecutivi ha invece ad oggetto questioni che riguardano la regolarità della procedura di esproprio, quali ad esempio la corretta notifica del titolo esecutivo.

La relativa azione processuale si propone di regola entro ristretti termini perentori.

In sintesi, mentre con l’opposizione all’esecuzione il debitore contesta l’an o il quantum della pretesa, deducendo fatti afferenti alle ragioni di credito azionate con l’esproprio, con l’opposizione agli atti esecutivi il debitore eccepisce motivi che si appuntano sulla correttezza della scansione procedurale disegnata nel modulo legale adottato.

Nel testo originario del suddetto art. 57, dunque, si disponeva, alla lett. a), che non fossero ammesse tutte le opposizioni all’esecuzione, con la sola eccezione di quelle attinenti la pignorabilità dei beni, alla lett. b), che non fossero ammesse le opposizioni agli atti esecutivi relative alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo.

La giustificazione di tali forti limitazioni all’esercizio degli ordinari rimedi giustiziali apprestati nel contesto delle procedure esecutive, che determinano ictu oculi un vulnus grave ai diritti di difesa del debitore, è rappresentata dalle correlazioni con le impugnazioni degli atti davanti alla giustizia tributaria.

Il legislatore ha inteso in questo modo evitare che il contribuente potesse avere, per così dire, una seconda chance per contestare la pretesa erariale dopo che sono spirati da tempo gli ordinari termini per la proposizione del ricorso.

Ed invero, con l’opposizione all’esecuzione[9] il contribuente muove eccezioni che impingendo nel merito delle ragioni di credito del Fisco appartengono ai motivi di ricorso avverso l’atto di accertamento ovvero la cartella di pagamento.

Con l’opposizione agli atti esecutivi, ugualmente, vengono in rilievo, per la parte che interessata dalle preclusioni del sopra citato art. 57, vizi della procedura di notifica del titolo esecutivo[10] che pure avrebbero dovuto essere denunciati in sede di gravame avverso gli atti propedeutici all’avvio della procedura espropriativa.

La formulazione della norma speciale recata nella disciplina della riscossione coattiva deve peraltro essere coordinata con il perimetro della cognizione dei giudici tributari, come disegnato nell’art. 2 del DLgs. 546/92, a mente del quale sono escluse dalla giurisdizione tributaria tutte (e solo) le controversie afferenti gli atti della espropriazione successivi alla notifica della cartella di pagamento.

 

La descrizione del problema

Una volta individuate le disposizioni interessate, è possibile quindi delineare i termini del problema che ha plurime declinazioni concrete.

In primo luogo, occorre stabilire quali sono i mezzi di reazione avverso gli atti della procedura esecutiva[11] allorquando questi non siano stati preceduti dalla valida notifica del titolo esecutivo.

Ciascuna delle soluzioni possibili presenta delle problematiche interpretative di cui occorre farsi carico nella ricerca di un inquadramento sistematico della questione.

Così, se si opta per la designazione del giudice tributario quale organo competente a decidere dell’impugnazione, bisogna superare la preclusione rappresentata dal limite chiaramente segnato nel sopra citato art. 2 del DLgs. 546/92; se invece si predilige la scelta “naturale” del giudice ordinario, ci si scontra con l’altra preclusione, rappresentata dal divieto di eccepire, in sede di opposizione agli atti esecutivi, l’irregolarità della notifica che legittima l’espropriazione.

Ai dubbi appena rappresentati, attinenti le sole entrate tributarie, se ne aggiunge un altro, questa volta riferito anche alle entrate patrimoniali.

Ci si chiede in particolare se il divieto di proporre opposizione all’esecuzione sia assoluto e cioè riguardi la totalità delle entrate affidate all’agente della riscossione oppure sia riferito alle sole entrate tributarie.

A favore della prima ipotesi, milita l’apparente generalità della formulazione legislativa, che non pare ammettere eccezioni; nel secondo senso, potrebbe essere valorizzata l’interpretazione sistematica della preclusione in esame, che si vorrebbe, secondo quanto innanzi riportato, collegata all’esigenza di non rimettere in termini il contribuente che non abbia per tempo contestato il provvedimento impositivo da cui è scaturita l’esecuzione. In entrambe le prospettive interpretative, bisogna da ultimo chiedersi se una simile grave menomazione dei diritti di difesa del debitore trovi rispondenza nei canoni costituzionali.

Come si vede si tratta di problemi complessi che involgono tematiche sensibili quali, per l’appunto, il corretto esercizio dei diritti di difesa a cospetto di atti di immediata e diretta aggressione del patrimonio del debitore che, in quanto tali, richiedono rimedi particolarmente efficaci.

(……………..)

 

Le Sezioni Unite del 2020

L’ultimo intervento che ha rappresentato una ulteriore messa a punto dell’arresto del 2017 è la sentenza n. 7822/2020, sempre delle Sezioni Unite[23].

In questa pronuncia, il giudice di legittimità ha colto l’occasione per verificare la tenuta della decisione del 2017 rispetto alla declaratoria di illegittimità costituzionale del 2018.

La conclusione raggiunta dal Massimo Consesso su tale questione, va detto subito, è la conferma del criterio di diritto affermato nell’arresto precedente, con alcune precisazioni.

In primo luogo, si osserva che l’ambito della giurisdizione tributaria comprende tutti gli atti “funzionali” alla procedura esecutiva.

Sotto questo profilo, colpisce l’accentuata ripetizione della Corte del principio secondo cui tutto ciò che avviene dopo la cartella di pagamento, di norma, appartiene al giudice ordinario, trascurando che alcuni degli atti impugnabili tipizzati nonché molti dei provvedimenti che in via estensiva sono stati ritenuti opponibili innanzi alle Corti di Giustizia Tributaria sono successivi alla cartella. Ma su questo punto si avrà modo di tornare, in sede di considerazioni critiche sull’assetto attuale.

In particolare, con riferimento alla cartella, il collegamento funzionale all’esecuzione è individuato nella qualifica di titolo esecutivo e precetto ad essa assegnata dall’ordinamento.

Si ribadisce altresì che, se è pur vero che l’art. 2 del DLgs. 546/92 stabilisce il limite della giurisdizione speciale nella “notifica” della cartella, deve comunque confermarsi che anche in assenza di regolare notifica della stessa il contribuente è legittimato a impugnare davanti al giudice tributario il primo atto dell’espropriazione con cui il Fisco esterna la pretesa creditoria.

Tanto, per l’ovvia ragione che il giudice tributario ben può e deve occuparsi anche della validità della notifica degli atti tributari sostanziali.

In tale ambito, le Sezioni Unite valorizzano il portato della norma di cui all’art. 19 comma 3 DLgs. 546/92, che, come noto, “consente” l’impugnazione di uno degli atti indicati nella sequenza di legge unitamente alla notifica di quello immediatamente successivo, laddove la spedizione del primo sia avvenuta irregolarmente.

Più esattamente, il giudice di vertice conferma che, in forza di tale previsione, il contribuente ha a disposizione due strade:

  1. limitarsi a contestare l’omessa notifica dell’atto presupposto, confinando così i profili di impugnazione ai soli aspetti formali; oppure
     
  2. muovere eccezioni attinenti al merito della pretesa creditoria, rilevando dunque questioni attinenti a fatti costitutivi, modificativi o estintivi della stessa, ponendo al centro dell’azione giudiziale l’atto presupposto e con questo gli aspetti sostanziali dell’obbligazione d’imposta.

Si tratta di notazione, per quanto non nuova, di grande rilevanza soprattutto sotto il profilo operativo.

Le Sezioni Unite nel loro excursus di ripresa delle assunzioni del precedente del 2017, inoltre, affermano che le due sfere, della giurisdizione tributaria, da un lato, e di quella ordinaria, dall’altro, sono assolutamente alternative, anche nel senso che la mancata attivazione dell’una non consente di adire l’altra.

A riprova della separatezza delle due sfere, la sentenza evidenzia altresì l’autosufficienza della sfera dei poteri esercitabili dai giudici dell’una e dell’altra.

In proposito, densa di significato e dunque meritevole di adeguata segnalazione è l’asserzione secondo cui il giudice tributario, attraverso l’adozione dei provvedimenti cautelari, ex art. 47 del DLgs. 546/92, ben può disporre la sospensione della procedura espropriativa, che in tal caso deve essere applicata dal giudice dell’esecuzione, alla stessa stregua della tutela esperibile davanti al giudice ordinario, in sede di opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi.

Fin qui la parte per così dire “confermativa” della sentenza delle Sezioni Unite, che pure, come innanzi evidenziato, non è priva di spunti di riflessione di notevole interesse.

Nella seconda parte della pronuncia, il giudice di legittimità si occupa delle implicazioni della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha cancellato dall’ordinamento la sopra citata lett. a) dell’art. 57 del DPR 602/73.

Il portato di tale intervento correttivo è che anche il giudice ordinario è abilitato a conoscere di questioni attinenti a fatti costitutivi, impeditivi o estintivi della pretesa in sede di opposizione all’esecuzione, con riferimento anche alla materia tributaria.

Occorreva pertanto delineare in quali casi tale tutela giudiziaria sia esperibile, muovendo sempre dal presupposto che le due sfere giurisdizionali sono assolutamente alternative e non sovrapponibili.

Al riguardo, il Massimo Consesso di nomofilachia assegna al giudice ordinario la cognizione sulle vicende che hanno investito la pretesa tributaria dopo la notifica della cartella di pagamento, atteso che questa, come più volte rimarcato, segna il confine della giurisdizione speciale.

Per loro natura, dunque, non può trattarsi di questioni riferite alla regolarità della notifica del titolo esecutivo, che si pongono al contrario a monte di tale linea di demarcazione.

L’esempio proposto dalle Sezioni Unite è la prescrizione della pretesa che si fosse formata dopo la notifica, vera o presunta, della cartella e prima della notifica del primo atto espropriativo.

In questo caso, la relativa eccezione da muoversi avverso l’atto di pignoramento, andrebbe sollevata davanti al giudice ordinario, in sede di opposizione all’esecuzione[24].

Il quadro disegnato al termine del lungo percorso ricostruttivo dalle Sezioni Unite può pertanto essere sintetizzato nei seguenti principi di diritto:

  1. appartengono al giudice tributario tutte le controversie che involgono la fase attuativa del rapporto d’imposta che si arresta alla notifica della cartella di pagamento, sia che questa[25] si sia correttamente verificata sia che ciò non sia avvenuto.
    In quest’ultimo caso, il contribuente può sempre esercitare il suo diritto di difesa in occasione della ricezione del primo atto esecutivo successivo alla cartella, a sua scelta, limitandosi ad eccepire il difetto di notifica dell’atto presupposto ovvero investendo quest’ultimo di critiche afferenti al merito del credito tributario;
     
  2. appartengono al giudice ordinario tutte le questioni che investono fatti costitutivi, estintivi o modificativi della pretesa verificatisi a valle della notifica della cartella di pagamento, senza che rilevi la corretta esecuzione della fase di notificazione, a condizione che il contribuente non intenda fondare la sua azione su profili attinenti a quest’ultima[26].

 

Considerazioni critiche

Sebbene l’assetto sopra delineato possa apparire come una acquisizione stabile da parte della Corte, si è dell’avviso che ulteriori chiarimenti si renderanno necessari se non altro per precisare meglio talune asserzioni che sembrano di portata assolutamente generalizzata.

Il primo dubbio che si impone è proprio sulla esattezza del tracciamento del confine della giurisdizione tributaria, atteso che, solo restando nel catalogo degli atti impugnabili tipizzati[27], il fermo amministrativo[28] e l’ipoteca[29] si collocano successivamente alla notifica della cartella. A ciò si aggiunga la nutrita casistica di atti impugnabili in via estensiva, in quanto recanti una pretesa determinata nell’an e nel quantum oppure riconducibili al diniego di agevolazioni tributarie.

Si pensi, solo per fare alcuni esempi, al diniego di rateazione[30], al rigetto della transazione fiscale[31], al diniego della rottamazione-ter, non ancora portato all’esame dei Supremi giudici ma la cui attribuzione alla cognizione delle nuove Corti non è mai stata in dubbio.

Viene dunque da chiedersi, tra l’altro, quid iuris se l’eccezione di prescrizione debba essere mossa avverso un preavviso di fermo o di ipoteca? Si deve adire il giudice tributario o quello ordinario?

In proposito, si è dell’avviso che gli arresti sopra indagati non si ponessero l’obiettivo di riformare radicalmente l’individuazione, anche in via estensiva, degli atti impugnabili, frutto di una più che decennale attività di indirizzo della Suprema Corte.

Per superare l’impasse potrebbe essere di aiuto valorizzare il passo della sentenza n. 7822 che riconnette all’oggetto della giustizia tributaria la cognizione sugli atti solo “funzionali” all’esecuzione, allo scopo di rimarcare che ne sono invece estranei quelli propriamente espropriativi.

In questo modo, si potrebbe recuperare alla giurisdizione speciale tutto ciò che accade per l’appunto a monte dell’avvio dell’esecuzione, rappresentato dall’atto di pignoramento.

Tanto, peraltro, non senza fatica, se solo si considera che, ad esempio, il preavviso di fermo e l’ipoteca, secondo un tradizionale orientamento di Cassazione[32], sono qualificati come strumenti cautelari e dunque non esclusivamente preordinati all’esproprio.

Se ne potrebbe pertanto fondatamente negare il collegamento funzionale all’esecuzione, alla luce di questo nuovo criterio di riparto della giurisdizione elaborato dalle Sezioni Unite[33].

Ad ogni buon conto, superando il riferimento apparentemente tranchant alla cartella di pagamento, recato negli ultimi arresti di nomofilachia, quale termine finale della giurisdizione speciale, in nome di una interpretazione di carattere sistematico[34] che prediliga il criterio della natura esecutiva o meno dell’atto oggetto di impugnazione, i problemi sopra sollevati troverebbero agevole soluzione.

E così, ad esempio, laddove la prescrizione si fosse maturata già al momento della notifica del preavviso di fermo, la cognizione sarà del giudice tributario; al contrario, per sollevare la medesima eccezione nei riguardi di un pignoramento bisognerà rivolgersi al giudice ordinario.

Tutto ciò, comunque, dovrà trovare conferma nei prossimi pronunciamenti dei giudici di vertice.

Occorre inoltre comprendere bene come impostare l’impugnazione promossa nei confronti di un atto di pignoramento non preceduto dalla notifica del titolo esecutivo.

Dalla lettura dei precedenti innanzi esaminati, supportati dal tenore della disposizione più volte citata di cui all’art. 2 del DLgs. 546/92, sembra corretto desumere come il pignoramento venga in rilievo non già come atto dell’espropriazione[35] bensì come documento di esternazione della pretesa recata nel titolo esecutivo ad esso propedeutico.

Si innesca così un meccanismo del tutto analogo alla cd. “impugnazione” dell’estratto di ruolo[36], nel quale l’atto in possesso del contribuente rappresenta in realtà il veicolo attraverso cui egli accede alla contestazione della cartella o dell’avviso impoesattivo[37].

Similmente, nel caso qui proposto l’impugnazione del contribuente davanti alle Corti di Giustizia Tributaria non avrà ad oggetto il provvedimento espropriativo ma il titolo presupposto.

Ciò porta con sé il quesito di quale sia la portata dell’eventuale decisione giudiziale favorevole nei confronti della procedura esecutiva in atto, soprattutto laddove la parte si limiti a contestare l’irregolare notifica del titolo suddetto.

Ora, si ritiene che se è vero che la decisione del giudice speciale non può essere rivolta direttamente nei confronti dell’esproprio non dovrebbe esserci dubbio sul fatto che l’annullamento del titolo per difetto di notifica non potrà ritenersi inutiliter datum ai fini della paralisi della procedura esecutiva in corso.

E così come l’eventuale tutela cautelare accordata dal giudice tributario non potrà non esplicare effetti anche nei riguardi del giudice dell’esecuzione, che non potrà esimersi dall’applicarla[38], la declaratoria di nullità, anche solo per vizi formali, dell’atto da cui origina il credito fiscale ridonderà in danno del creditore procedente nel giudizio di esecuzione, con doverosa presa d’atto da parte dell’autorità ordinaria.

Non è d’altro canto concepibile che il contribuente, dopo aver ottenuto l’annullamento della cartella/accertamento non validamente notificata, conosciuti per il tramite del pignoramento, debba poi recarsi dal giudice ordinario per promuovere un nuovo giudizio di opposizione all’esecuzione[39].

Si tratta tuttavia, anche in questo caso, di considerazioni che dovranno essere messe alla prova della concreta esperienza professionale, in un contesto in cui l’armonia e il coordinamento delle decisioni delle diverse autorità giudicanti non saranno né semplici né immediati.

Continua…

 

[N.d.R.: quanto riportato rappresenta parte dell’approfondimento in tema di “Riforma del Processo Tributario” la cui trattazione integrale è contenuta nel n. 8 del Magazine Diellepì, predisposto dallo Studio Deotto Lovecchio & Partners.
E’ possibile ottenere la rivista solo attraverso l’acquisto dell’N.F.T. (che comporta anche altri ulteriori vantaggi),  scaricabile dalla piattaforma Rarible]

 

Argomenti trattati nel Diellepì Magazine n. 8:
  1. Gli atti impugnabili;
  2. L’impugnazione degli atti di pignoramento;
    • Le norme;
    • La descrizione del problema;
    • Le Sezioni Unite del 2017;
    • L’intervento correttivo della Corte Costituzionale;
    • Le Sezioni Unite del 2020;
    • Considerazioni critiche;
  3. La legittimazione passiva;
  4. La competenza territoriale della Corte di Giustizia Tributaria;
  5. Le Sezioni Unite sull’impugnazione dell’estratto di ruolo;
    • Il primo arresto delle Sezioni Unite;
    • La successiva evoluzione legislativa;
    • L’ultimo arresto delle Sezioni Unite; Conclusioni

 

NdR: Potrebbe interessarti anche…La definizione delle liti pendenti in Cassazione

 

***

NOTE

[1] Ci si riferisce all’art. 102 della Costituzione, che vieta l’istituzione di giudici speciali, e alla sesta disposizione transitoria ivi contenuta, che fa salvi i giudici speciali già esistenti prima della promulgazione della Costituzione, previa revisione della relativa disciplina

[2] Così la Corte Costituzionale, tra le molte, nella sentenza n. 64/2008

[3] Cioè per la porzione di credito non imputabile all’entrata tributaria

[4] Tra le molte, si rinvia alle Sezioni Unite n. 16293/2007 e n. 3773/2014

[5] Sul punto, tuttavia, si veda quanto più oltre esposto in ordine alle regole di impugnazione degli atti di pignoramento non preceduti dalla notifica del titolo esecutivo

[6] In senso favorevole, si veda CTP Bari sent. n. 557/4/15, contra CTP Reggio Emilia sent. n. 214 del 12.5.2014, in GT n. 10/2015, con commento adesivo di A. Carinci

[7] Si pensi all’ipotesi di affidamento dell’intero carico tributario, sanzioni incluse, pur in presenza di ricorso: non si vede cosa altro si potrebbe impugnare se non l’affidamento illegittimo, comunicato per l’appunto con la raccomandata informativa dell’agente della riscossione

[8] Che per loro natura sarebbero più propriamente riconducibili all’opposizione agli atti esecutivi.

[9] Che si ribadisce non soggiace normalmente a termini decadenziali.

[10]Cartella di pagamento o accertamento esecutivo.

[11] Tipicamente il pignoramento presso terzi che è l’ipotesi più frequente.

[12] Criticamente commentata da Glendi C. “Impugnabile davanti al giudice tributario l’atto di pignoramento”, Giur. trib., 2017, p. 762 ss.

[13] Cognizione del giudice tributario.

[14] Cognizione del giudice ordinario.

(……………..)

[26] Altrimenti, per le ragioni sopra indicate, si ricadrebbe nell’ambito della giurisdizione speciale.

[27] E cioè rientranti nella elencazione dell’art. 19 del DLgs. 546/92.

[28] In effetti, il preavviso di fermo, secondo la sequenza dettata nell’art. 86 del DPR 602/73.

[29] In realtà, già dalla notifica del preavviso prescritto nell’art. 77 del DPR 602/73.

[30] Cass. SS.UU. n. 15647/2010

[31]  Cass. SS.UU. n. 25632/2016

[32] Da ultimo, si veda Cass. n. 11817/2020

[33] Si veda però l’orientamento di vertice in materia di iscrizione di ipoteca sui beni del fondo patrimoniale, peraltro non sempre univoco, secondo cui l’apposizione del vincolo, ai sensi dell’articolo 170 c.c., si giustificherebbe con la correlazione dell’ipoteca all’esecuzione: Cass., n. 15459/2019, commentata da A. Grassotti – “La possibile iscrizione ipotecaria, anche se è preclusa l’esecuzione, è inapplicabile al fondo patrimoniale, perché disciplinato in via esclusiva dall’articolo 170 c.c.”, in GT n. 1/2020, pagg. 60 e segg.

[34] Peraltro, costantemente seguita anche nel passato recente dalla Suprema Corte: per tutti, si veda Cass. n. 25632/2016, cit.

[35] Che in quanto tale non potrebbe mai essere portato all’attenzione del giudice tributario.

[36] Su cui da ultimo si veda Cass. n. 7228/2020 nonché quanto più avanti osservato a commento delle Sezioni Unite n. 26283/2022

[37][37] Così Randazzo F., cit., p. 663 ss., Guidara, op. cit., pag.518 e Basilavecchia M. “Le sezioni unite tornano a definire il criterio di riparto della giurisdizione nelle liti relative all’esecuzione forzata tributaria”, Tax news, 2020.

[38] In questo senso, come innanzi illustrato, le SSUU n. 7822/2020.

[39] In questo senso, Randazzo F., cit., il quale rileva che a tale scopo è decisivo l’intervento della Consulta che, nell’abrogare la lett. a) dell’art. 57, ha affermato la piena cognizione dell’AGO sulla stessa esistenza delle ragioni di credito relative ad una pretesa tributaria.

 

A cura del Centro Studi Deotto Lovecchio & Partners

www.deottolovecchio.it

Lunedì 5 dicembre 2022

 

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