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Basta una clausola vessatoria per impugnare un mutuo fondiario ed evitare l’esproprio della casa. C’è una recentissima sentenza del Tribunale di Monza, Sezione esecuzioni mobiliari che rischia di travolgere l’intero sistema creditizio. A raccontarla al Giornale è la signora G. (nome di fantasia), difesa dall’avvocato Claudio Defilippi, che è riuscita a convincere i giudici a bloccare un altro pignoramento promosso contro la signora, dopo un primo pignoramento della casa nel 2019 e una successiva vendita all’asta nel 2020. «La controparte voleva altri 80mila euro da pignorarmi sullo stipendio fino alla pensione, ma grazie a clausole vessatorie nel contratto siamo riusciti a bloccare tutto». Al telefono il legale conferma: «Abbiamo chiesto la improcedibilità per nullità e/o infondatezza del diritto di procedere a questa esecuzione forzata, visto che nel contratto di credito al consumo ci sono clausole abusive, manipolazione del tasso Euribor, usura e anatocismo».

Si tratta di fatto di un’altra sentenza di un tribunale, ispirata dall’Europa, che accoglie pienamente le indicazioni della direttiva 93 del 2013 (poi modificata dalla direttiva 2019/2161) che protegge i consumatori dell’Unione europea da clausole e condizioni abusive che potrebbero essere incluse in un contratto di adesione per i beni e i servizi, in nome della «buona fede» tra le parti che dovrebbe evitare qualsiasi significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi reciproci. Una difesa che, al momento, riguarda i consumatori, non ancora i professionisti: sono esonerati dal dovere di controllare la presenza di eventuali clausole che abbiano effetti sul credito? No, ma presto potrebbero doversi opporre ai moduli precompilati che le banche sottopongono ai clienti, e che a volte recano proprio la dicitura «clausole vessatorie». È solo questione di tempo.

Quali sono le clausole considerate particolarmente svantaggiose, previste dal Codice del consumo all’articolo 33? Il calcolo degli interessi (per il rischio usura o anatocismo), il diktat sul giudice competente che potrebbe non essere quello «naturale» previsto dal codice penale, un preavviso irragionevole e comunque inferiore a 15 giorni, alcune modifiche unilaterali ma anche commissioni nascoste, strani costi di istruttoria o di estinzione anticipata o, in generale, clausole non negoziate (vedi i prestampati).

Già prima dell’estate – ne aveva dato conto il Giornale del 29 maggio – il tribunale di Milano con il giudice Mariapia Galli aveva accolto i principi stabiliti dalla Cassazione: i mutui non fondiari (dove c’è il decreto ingiuntivo) devono essere rimessi in terminis, qualora il consumatore non li abbia impugnati, anche successivamente per le clausole vessatorie. «Tutti i pignoramenti, dello stipendio e immobiliari, i decreti ingiuntivi e i precetti promossi da banche, finanziarie e istituti di credito possono esser sospesi, anche dopo che il decreto ingiuntivo su cui si fonda l’esecuzione forzata è divenuto definitivo», dice in sostanza il verdetto milanese, che segue il percorso della sentenza emessa il 6 aprile 2023 dalle Sezioni Unite, la numero 9479, recependo i principi fissati dalla Corte di Giustizia europea. Un verdetto che ha investito «il giudice dell’esecuzione del dovere di controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole contenute nel contratto alla base del decreto ingiuntivo», come scrive il tribunale di Monza.

Insomma, la casa è salva. Il diritto all’abitazione si applica anche alle procedure esecutive in corso. Un debitore sottoposto a un pignoramento ha diritto di presentare opposizione e bloccare l’asta se c’è anche una sola clausola vessatoria.

«Vale anche i mutui fondiari, pure i cosiddetti piccoli prestiti possono saltare. Anche se garantiti da ipoteca, per i quali la banca procede per precetto entro dieci giorni», conferma Defilippi. Una buona notizia per gli italiani, una pessima notizia per le banche.

 

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