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La Suprema Corte nella sentenza n. 14878 pubblicata il 10 aprile 2024, ha stabilito che può configurarsi il reato di malversazione, come sancito dall’art. 316-bis del c.p., nei casi in cui dopo che un istituto di credito ha erogato un finanziamento garantito dal Fondo per le PMI, le somme erogate non vengono impiegate per gli scopi previsti dalla legge.

Ricordiamo che l’art. 316-bis del c.p. punisce coloro che, non facendo parte della Pubblica Amministrazione, utilizzano contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni simili ottenute dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee per scopi diversi da quelli previsti.

Nel dettaglio, il caso riguardava un individuo che, dopo aver ottenuto un prestito di 340.000 euro garantito dal Fondo di garanzia a sostegno delle PMI e destinato a garantire “liquidità aziendale”, ha utilizzato 320.000 euro per estinguere un precedente mutuo ipotecario della moglie e il resto per coprire il proprio scoperto di conto corrente.

La Cassazione ha sottolineato che, nonostante l’ampia finalità della garanzia pubblica, è fondamentale che le somme erogate siano destinate alle finalità specifiche previste dalla legge. In questo caso, l’utilizzo dei fondi per scopi diversi da quelli previsti rappresentava un possibile caso di malversazione, configurando il reato previsto dall’articolo 316-bis c.p.

Nello specifico la sentenza ha affrontato tre punti principali. Innanzitutto, ha valutato se il mutuo garantito dal Fondo per le PMI fosse stato concesso per una finalità specifica. In secondo luogo, ha esaminato se il reato di malversazione potesse essere configurato anche nel caso di finanziamenti assistiti da garanzia pubblica ma erogati da istituti di credito privati. Infine, ha considerato la possibilità di distinguere tra i fondi destinati all’attività professionale e quelli utilizzati per esigenze personali nel patrimonio di un libero professionista.

La Cassazione ha ribadito che la garanzia fornita dal Fondo per le PMI mira ad agevolare l’accesso al credito per le imprese, e anche se estesa ai professionisti, la destinazione dei finanziamenti deve comunque essere legata all’attività produttiva. Pertanto, l’utilizzo dei fondi per pagare debiti personali era in contrasto con lo spirito della normativa.

Infine, la sentenza precisa che, nonostante l’assenza di un’entità giuridica separata, il libero professionista è responsabile dei suoi debiti con tutto il suo patrimonio. Tuttavia, ciò non impedisce di distinguere tra beni e spese legate all’attività professionale e quelle personali.

 

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