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Economisti e operatori del mercato dei crediti deteriorati guardano con una certa preoccupazione al provvedimento sul settore, studiato dal governo Meloni e fortemente voluto dal ministro Urso, che punta a fissare un prezzo massimo per consentire di ripagare i prestiti. Il 24 agosto l’agenzia Bloomberg ha rilanciato le indiscrezioni secondo cui l’attuale esecutivo starebbe spingendo per far approvare entro la fine dell’anno una misura su quei finanziamenti che non vengono restituiti alle banche (in gergo tecnico npl o non performing loan, ossia appunto crediti deteriorati), nell’ambito del piano disegnato dalla premier Giorgia Meloni per aiutare famiglie e imprese nell’attuale contesto di tassi di interesse crescenti. In estrema sintesi, questo provvedimento consentirebbe ai debitori di ripagare il proprio prestito a un prezzo massimo fissato dallo Stato, che rappresenta non l’intero ammontare del finanziamento ma una certa percentuale del valore nominale.

Proprio su questo tema c’è già un progetto di legge all’esame della Camera. Non a caso, il servizio studi di Montecitorio (Dipartimento finanze), il 17 luglio scorso, ha preparato una scheda di lettura per cercare di chiarire un argomento che rischia di essere molto tecnico. “La proposta in esame – si legge nella scheda – reca disposizioni volte a recuperare i crediti in sofferenza e accelerare il ritorno in bonis dei debitori ceduti”. A tal fine, “viene concesso al debitore ceduto che sia persona fisica o microimpresa, titolare di credito classificato come deteriorato tra il 1° gennaio 2018 e il 31 dicembre 2021 e la cui posizione debitoria sia stata ceduta (volontariamente o nel corso di procedura concorsuale) a soggetti terzi, il diritto di estinguere una o più delle proprie posizioni debitorie, purché singolarmente o complessivamente non superino i 25 milioni di euro e siano in essere presso una singola società cessionaria, con il pagamento, a saldo di quanto dovuto, di un importo pari al prezzo di acquisto della posizione da parte della società cessionaria, aumentato del 20 per cento”. Se c’è un procedimento giudiziario o una procedura stragiudiziale già in corso, si prevede che il debitore possa riacquistare la posizione al 40% in più del prezzo pagato dalla società che l’ha comprata (tecnicamente cessionaria).

Prima di capire perché queste disposizioni agitano gli addetti ai lavori e anche alcuni economisti, un esempio concreto può aiutare a comprendere meglio i termini della questione. Ipotizziamo che una famiglia o una impresa non sia riuscita a ripagare alla banca un debito iniziale di 100 euro. Tale posizione viene dall’istituto di credito ceduta a un operatore specializzato nel ramo degli npl a un prezzo più basso, ipotizziamo a 20 euro. Ecco, se dovesse passare la nuova legge, la famiglia o l’impresa debitrice, come evidenzia sull’ex Twitter (oggi X) il professore della School of management dell’università Bocconi, Carlo Alberto Carnevale-Maffè, “potrebbe sdebitarsi definitivamente pagando circa 24€-28€ invece dei 100€ che inizialmente doveva”.

Il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, grande sostenitore del provvedimento, ha spiegato a Bloomberg che l’obiettivo del governo è “risollevare il maggior numero di persone e imprese dai prestiti che non sono riusciti a ripagare”, così da permettere loro di “chiudere i vecchi debiti e tornare al lavoro”. Alcuni economisti, tuttavia, esprimono dubbi. Lo stesso Carnevale-Maffè, rifacendosi a un tweet dell’esperto finanziario Massimo Famularo, ritiene che la proposta del governo, strutturata così, sia “sbagliata e controproducente”. Le motivazioni sono molteplici: “distorce il mercato degli npl, non aiuta i debitori più fragili, genera impatti negativi su tutto il sistema finanziario e ignora il rischio di un boomerang sui conti pubblici e sui contribuenti dovuto alle garanzie pubbliche tuttora esistenti”. In quest’ultimo caso, il riferimento è alle cosiddette Gacs, ossia le garanzie che il Tesoro, a certe condizioni, mette a disposizione degli operatori del credito e della finanza per favorire lo smaltimento delle sofferenze bancarie (ossia le posizioni deteriorate con minore probabilità di essere restituite).

Ebbene, secondo Lorenzo Codogno, “visiting professor” alla London School of Economics e al College of Europe, oltre che consulente di LC Macro Advisors Ltd, il nuovo provvedimento “può fare aumentare le probabilità che vengano escusse le garanzie pubbliche”. Inoltre, sempre a detta di Codogno, che dal 2006 al 2015 è stato capo economista del ministero dell’Economia e delle Finanze, “potrebbe esserci un impatto avverso sulla società pubblica Amco, che alla fine del 2022 gestiva attività in forma di npl per 36,4 miliardi”. Oltre ad Amco, sono numerose le società, anche quotate in Borsa, che a vario titolo operano nel settore dei crediti deteriorati e in sofferenza, acquistandoli spesso dalle banche per poi rivenderli o gestirli al proprio interno con l’obiettivo di recuperarli. Tra queste società, tanto per citare alcune delle più significative, ci sono Illimity, Banca Ifis, Dovalue, Cerved e Prelios (quest’ultima sta entrando nell’orbita del gruppo Ion di Andrea Pignataro, già proprietario di Cerved e Cedacri).

Più in generale, per l’ex capo economista del Tesoro, la legge allo studio potrebbe “allontanare gli investitori dalle esposizioni deteriorate di soggetti italiani, andando con ogni probabilità a uccidere il mercato”. Senza contare che “la misura non sembra essere rivolta a famiglie e piccole imprese, visto che si pone un limite a 25 milioni”. Codogno evidenzia poi come, dopo la tassa sui presunti extraprofitti delle banche e “nonostante gli sforzi di Meloni, Antonio Tajani e Giancarlo Giorgetti di ammantare il populismo del centro-destra di una patina di pragmatismo e di responsabilità, le riforme favorevoli ai mercati non sembrano essere nel Dna del governo italiano”. A questo punto, la proposta di legge sui crediti deteriorati dovrebbe essere discussa in Parlamento a settembre. Indipendentemente dalla forma che un simile provvedimento assumerà, per Codogno, “si tratta di un altro esempio dell’interventismo del governo nella dinamica dei mercati”.

 

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