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Alcuni parti della L.R. Piemonte n. 7/2022 sono state dichiarate illegittime, attendiamo la conversione del Salva Casa

La sentenza di Corte Costituzionale n. 119/2024 ha dichiarato illegittime alcune semplificazioni apportate dalla Legge Regione Piemonte n. 7/2022 in materia di Governo del territorio. In particolare si analizzano i seguenti aspetti, considerato pure la menzione puramente informativa del Decreto Legge n. 69/2024 “Salva Casa”, mentre altre sono state considerate rispondenti al dettato costituzionale.

Stato Legittimo immobili ante ’67 esterni a centri abitati e zone di espansione

L’articolo 3, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022 ha violato i principi fondamentali espressi dall’art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia D.P.R. 380/01.

La norma impugnata, nel modificare l’art. 2 della legge della Regione Piemonte 4 ottobre 2018, n. 16, ha aggiunto al comma 1 la lettera d-bis), ha definito come edifici o parti di edifici legittimi quelli «realizzati legittimamente o per i quali è stato rilasciato titolo abilitativo in sanatoria ai sensi degli articoli 36 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici) convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale la legge non imponeva, per l’attività edilizia nella porzione di territorio interessata, l’acquisizione di titolo abilitativo edilizio, ancorché in presenza di disposizioni locali diverse, lo stato legittimo è desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti di archivio o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo dell’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi abilitanti interventi parziali».

Con questa modifica la definizione di «stato legittimo regionale» dell’immobile si discosta da quella contenuta nell’art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia, nella parte in cui prevede che, per «gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio», lo stato legittimo debba inferirsi dalle informazioni catastali di primo impianto o da altri documenti probanti e dai titoli abilitativi ivi descritti. Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la norma statale interposta, con una disciplina difforme da quella contenuta nella normativa regionale impugnata, stabilirebbe che dai citati elementi probatori debba desumersi lo stato legittimo dell’immobile.

Inoltre, la difesa statale richiama l’art. 31, primo comma, della legge n. 1150/1942 e l’art. 10 della legge ponte n. 765/1967, dai quali deduce che, per le costruzioni realizzate prima dell’entrata in vigore della citata legge del 1967, la licenza edilizia era già richiesta se l’opera ricadeva nel centro abitato o nelle zone di espansione e, al di fuori di tali ipotesi, qualora i regolamenti edilizi comunali avessero stabilito l’obbligo di munirsi di licenza edilizia, ai fini della valutazione dello stato legittimo (si richiama, in proposito, le sentenze del Consiglio di Stato n. 3899/2015, n. 5141/2008, n. 287/1980 e la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione seconda, 9 gennaio 2017, n. 37).

Pertanto la norma regionale impugnata, includendo nella definizione di “immobili legittimi” le costruzioni prive di titolo edilizio realizzate prima del 1967 fuori dai centri abitati e dalle zone di espansione, nel ricomprendere anche i casi in cui la licenza fosse richiesta dai regolamenti edilizi comunali ha violato i principi statali, con una conseguente indebita estensione della nozione di immobili legittimamente realizzati. Tali principi infatti devono trovare uniforma applicazione sul territorio italiano, in quanto rientranti nei livelli essenziali delle prestazione (concernenti i diritti civili e sociali).

Deroga requisiti igienici per sottotetti abitabili

La sentenza di Corte Costituzionale n. 119/2024 è stata chiamata a valutare i profili di incostituzionalità dell’articolo 8 comma 9 L.R. Piemonte n. 7/2022 (modificante l’articolo 6 c.10 della L.R. 16/2018) riguardanti la deroga dei requisiti minimi igienico sanitari al D.M. 5 luglio 1975, per convertire i sottotetti in mansarde abitabili senza modifiche di sagoma.

In particolar modo è stato valutato se la disposizione si fosse posta in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., avuto riguardo alla competenza legislativa concorrente in materia di tutela della salute, e la violazione del d.m. 5 luglio 1975, di diretta attuazione degli artt. 218 e 221 del regio decreto n. 1265/1934 , che stabilisce gli standard igienico-sanitari degli edifici posti a presidio del diritto alla tutela della salute riconosciuto dall’art. 32 Costituzione.

La sentenza di Corte Costituzionale n. 119/2024 ha rammentato che le prescrizioni del predetto d.m. 5 luglio 1975 sono vincolanti per la normativa di dettaglio adottata dalle regioni. Esse, infatti, «presentano una evidente natura tecnica. [omissis]. Legate da un nesso evidente alla normativa primaria e chiamate a specificarne sul versante tecnico i precetti generali, le previsioni contenute nella fonte regolamentare sono idonee a esprimere princìpi fondamentali» (sentenza C.C. n. 124/2021).

Tuttavia la Corte Costituzionale con medesima sentenza, nello scrutinare la disciplina della Regione Veneto diretta a introdurre «specifici requisiti di altezza e aeroilluminazione per la sola porzione dell’unità abitativa costituita dal recupero edilizio dei sottotetti», ha rilevato che una simile disciplina «non comporta deroga agli standard uniformi fissati dal d.m. 5 luglio 1975 in attuazione del r.d. n. 1265 del 1934», per due ordini di motivi:

  1. Innanzitutto, perché i sottotetti «costituiscono solo una parte dell’unità abitativa, che deve preesistere e possedere già i prescritti requisiti di abitabilità».
  2. In secondo luogo, perché «tali locali sono caratterizzati normalmente da una peculiare morfologia, tanto che la disciplina impugnata fa riferimento all’altezza media, da calcolarsi escludendo le parti del sottotetto inferiori a una certa soglia». Ne consegue che, «in considerazione del carattere di lex specialis della disciplina relativa ai requisiti di abitabilità dei sottotetti concernenti altezza e aeroilluminazione, non regolati a livello di legislazione statale», le leggi regionali dettano «requisiti di altezza e aeroilluminazione a tutela delle medesime esigenze di salubrità e igiene di cui si fa carico la disciplina statale, tenendo conto delle peculiarità strutturali dei locali oggetto di recupero e del loro carattere non autonomo rispetto a unità abitative già esistenti (sentenze n. 208 del 2019, n. 282 e n. 11 del 2016)» (sentenza n. 54/2021).

Alla luce di tali considerazioni già svolte nella pronuncia da ultimo richiamata, non risulta violata la competenza legislativa concorrente dello Stato in materia «tutela della salute»; secondo la Consulta, il ricorrente (il Governo) ha erroneamente evocato quale parametro interposto il d.m. 5 luglio 1975, le cui prescrizioni sono state ritenute da questa Corte derogabili nel caso del recupero di sottotetti (si veda la citata sentenza n. 54/2021). Conseguentemente, non sono fondate neppure le questioni promosse in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost., che parimenti presuppongono la inderogabilità dei requisiti stabiliti dal citato decreto ministeriale.

Variazioni essenziali, esclusa quantificazione regionale

Su questo aspetto sono rimasto sorpreso, in quanto la Corte Costituzionale ha ritenuto lesive dei principi nazionali dell’articolo 32 D.P.R. 380/01 (variazioni essenziali) le definizioni quantitative delle seguenti variazioni essenziali regionali, contenute nell’articolo 6 comma 1 L.R. Piemonte 19/1999 (riformato da L.R. 7/2022):

  • la lettera b) del comma 1 del nuovo art. 6 della legge reg. Piemonte n. 19 del 1999, la quale, anziché prevedere, come sancito dall’art. 32, comma 1, lettera b), t.u. edilizia, che costituisce variazione essenziale al progetto approvato l’«aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato», stabilisce, in via automatica, che siffatta variazione si verifica quando sussiste un «aumento in misura superiore al 30 per cento della cubatura o della superficie di solaio»
  • la lettera c) del medesimo comma 1 del nuovo art. 6, la quale dispone il ricorrere dell’essenzialità della variazione solo nel caso di «modifiche superiori al 20 per cento dei parametri urbanistico-edilizi relativi all’altezza e alla superficie coperta del progetto approvato». Ciò, diversamente dall’art. 32, comma 1, lettera c), t.u. edilizia, il quale prevede, tra le condizioni al verificarsi delle quali si ha variazione essenziale, le «modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato»;
  • l’omesso richiamo alla previsione di cui alla lettera d) del comma 1 dell’art. 32 da ultimo citato che include tra le variazioni essenziali il «mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito».

Tra le motivazioni che hanno portato alla incostituzionalità delle variazioni essenziali “quantitative” regionali del Piemonte:

  • in base alla norma statale l’aggettivo «consistente» si traduce in una percentuale solitamente parametrata sull’incremento superiore a quello delle tolleranze costruttive (stimate in percentuale rispetto alle misure previste nel titolo abilitativo);
  • sia perché la norma regionale assume a base di calcolo del margine di aumento la cubatura o la superficie del solaio senza far riferimento alle misure del progetto approvato riguardanti le specifiche opere eseguite in difformità.

In questo modo, la disposizione regionale trascende il vincolo a definire la disciplina di dettaglio affidatole dall’art. 32, comma 1, t.u. edilizia e contraddice la scelta del legislatore statale di sanzionare con la demolizione le divergenze esecutive in aumento, consistenti rispetto alle misure progettuali assentite, consentendo un aumento di cubatura o di superficie tale da far emergere un’opera diversa da quella oggetto del permesso di costruire. Invero, la formulazione del principio fondamentale di cui all’art. 32, comma 1, lettera b), lungi dal consentire alla normativa regionale di quantificare lo scostamento dalle previsioni del progetto approvato in termini percentuali, esprime invece la necessità che la valutazione sia eseguita in concreto, rapportando di volta in volta la variazione effettuata nella realizzazione dell’opera, quanto a cubatura e a superficie del solaio, a quella delineata nel progetto approvato.

Si pone, dunque, in contrasto con il principio fondamentale espresso dall’art. 32, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, una norma di dettaglio che conduca a escludere in via generale la consistenza di variazione essenziale a modificazioni che si mantengano al di sotto di una determinata soglia percentuale, atteso che, in tal modo, si finisce per consentire a priori l’esclusione della essenzialità della variazione, a prescindere da qualsiasi apprezzamento concreto circa la effettiva incidenza della eccedenza di cubatura o di superficie di solaio.

Peraltro la Corte Costituzionale con sentenza n. 24/2022 ha già affermato che la disciplina sulle tolleranze costruttive delineata dall’art. 34-bis t.u. edilizia (disposizione anch’essa da ultimo significativamente novellata dal Decreto Legge n. 69/2024) definisce il profilo delle difformità rilevanti, in una prospettiva che non può non essere omogenea sull’intero territorio nazionale, anche con riguardo ai limiti individuati dal testo unico dell’edilizia come punto di equilibrio.

In definitiva sono da considerarsi incostituzionali le quantificazioni delle variazioni essenziali, previste in via qualitativa dell’articolo 32 D.P.R. 380/01 e adottate dalla regione, qualora non siano espressamente parametrate e comparate al progetto approvato con permesso per ogni tipologia di variazione stessa: per il fatto che sia stato omesso questo riferimento formale (al progetto approvato) ad ogni tipologia, è stata considerata incostituzionale. In caso contrario si perderebbe il confine con le parziali difformità dal permesso. Ricordiamoci infatti che le variazioni essenziali configurano un abuso di tipo relativo e comparato ad un intervento titolato. Si tratta di un grosso problema, considerato che altre regioni hanno operato in modo analogo.

Ma allora, senza riferimenti e parametri quantitativi regionali delle variazioni essenziali, si corre seriamente il rischio che moltissime discordanze edilizie superanti (anche pochissimo) le percentuali previste dalle tolleranze edilizie siano qualificabili variazioni essenziali, riducendo moltissimo il campo di esistenza delle parziali difformità. Speriamo allora che sia approvato l’emendamento proposto tra le modifiche al D.L. 69/2024 Salva Casa, riguardante le variazioni essenziali.

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