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Un’agenzia immobiliare agisce in via monitoria contro una società per ottenere il pagamento della provvigione per la compravendita di un immobile. L’ingiunta propone opposizione e ne contesta l’ammontare, dichiarando che tra le parti sia intercorso un patto di riduzione della provvigione (dal 3% previsto dalle tariffe professionali all’1%).

Secondo la Corte di Cassazione, sentenza del 26 gennaio 2023 n. 2385 (testo in calce), l’esistenza di accordo di riduzione della provvigione rappresenta un fatto impeditivo rispetto al fatto costitutivo della pretesa. Pertanto, spetta a chi eccepisce l’inefficacia dei fatti costitutivi fornirne la prova (ex art. 2697 c. 2 c.c.), vale a dire alla società opponente (convenuta sostanziale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo).

La società opponente contesta, altresì, che la provvigione sia stata calcolata sul prezzo della proposta d’acquisto e non già sull’importo fissato nel preliminare o nel definitivo, avendo i giudici di merito ritenuto concluso l’affare con la sottoscrizione della proposta.

Gli ermellini chiariscono che il diritto del mediatore alla provvigione consegue soltanto alla conclusione dell’affare (come previsto dall’art. 1755 c.c.). Nondimeno, con la sottoscrizione di una mera proposta l’affare non può dirsi concluso. In altre parole, il diritto alla provvigione non matura alla stipula di un accordo a contenuto essenzialmente preparatorio, come la proposta d’acquisto. Quest’ultima, infatti, dà impulso alla conclusione dell’affare, ma non è idonea a vincolare ambo le parti, infatti, non consente – in caso di inadempimento di una di esse – di ricorrere all’esecuzione in forma specifica (art. 2932 c.c.) o di agire per ottenere il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato.

I Contratti, Direzione scientifica: Breccia Umberto, Carnevali Ugo, D’Amico Giovanni, Macario Francesco, Granelli Carlo, Ed. IPSOA, Periodico. Rivista di dottrina, giurisprudenza e pratiche contrattuali nazionali e internazionali, arbitrato e mediazione.
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La vicenda

Una società che esercita attività immobiliare ottiene un decreto ingiuntivo contro un’altra società per il pagamento della provvigione (pari al 3%) in relazione alla compravendita di un immobile. L’ingiunta propone opposizione e il tribunale la condanna alla corresponsione della minor somma di 21 mila euro (pari all’1%). In sede di gravame, la sentenza di primo grado viene riformata e la società opponente è condannata al pagamento di oltre 100 mila euro.

Si giunge così in Cassazione.

L’onere della prova sull’ammontare della provvigione

La società ricorrente ritiene che la provvigione da applicare sia nella misura dell’1% e non del 3% come stabilito dal giudice di merito. In particolare, contesta la sentenza impugnata laddove essa ha gravato la società opponente (convenuta in senso sostanziale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo) a fornire la prova della riduzione della provvigione dal tre all’uno per cento. Al contrario, secondo le difese della ricorrente, sarebbe spettato alla società immobiliare, in quanto attrice in senso sostanziale, fornire la prova del diritto fatto valere, ossia dell’accordo sull’ammontare della provvigione pari al 3%.

La Suprema Corte considera infondata la doglianza.

Secondo la legge (art. 1755 c. 2 c.c.), la misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti è stabilito:

  • dall’accordo tra le parti,
  • dalle tariffe professionali o dagli usi,
  • oppure, in mancanza di quanto sopra, sono determinate dal giudice secondo equità.

Il giudice di merito ha impiegato quale parametro di calcolo della provvigione le tariffe professionali allegate dall’immobiliare e non contestate dalla ricorrente (pari al 3% dell’affare).

La decisione è corretta.

L’accordo in base al quale viene ridotta la provvigione costituisce un fatto impeditivo dell’efficacia delle tariffe. Le tariffe, invece, rappresentano un fatto costitutivo della pretesa dell’immobiliare di ricevere la provvigione al 3%. In materia di onere della prova, chi eccepisce l’inefficacia dei fatti costitutivi di un diritto deve provare i fatti su cui si fonda l’eccezione (art. 2697 c. 2 c.c.). Pertanto, spettava alla ricorrente, in quanto convenuto sostanziale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere di provare l’accordo di riduzione della provvigione.

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La provvigione si determina sul valore dell’affare

La ricorrente lamenta che la decisione gravata abbia commisurato la provvigione considerando come valore base non già il prezzo fissato nel contratto (preliminare o definitivo) ma il prezzo indicato nella proposta d’acquisto e, conseguentemente, abbia calcolato il 3% su tale importo.

La doglianza è fondata, infatti, l’art. 1755 c.c. stabilisce che il mediatore abbia diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento. Il parametro di riferimento, quindi, è costituito dalla conclusione dell’affare a cui è collegato il sorgere del diritto. I giudici di merito hanno malamente applicato la disposizione in commento, atteso che la proposta di acquisto è un atto meramente preparatorio e la sua sottoscrizione non coincide con la conclusione dell’affare. La giurisprudenza è costante nell’affermate che al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, è necessario che l’affare sia concluso, vale a dire che tra le parti messe in relazione dal mediatore sia sorto un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l’esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. o per il risarcimento del danno scaturente dalla mancata conclusione del negozio (Cass. 39377/2021; Cass. 32066/2021; Cass. 30083/2019). Al contrario, il diritto alla provvigione va escluso quando il vincolo creato tra le parti sia idoneo solamente «a dare impulso alle successive articolazioni del procedimento di conclusione dell’affare, come è accaduto nel caso di specie con la sottoscrizione della proposta d’acquisto». Ad esempio, la conclusione di un patto di opzione, con cui le parti convengono che una di esse resti vincolata dalla propria dichiarazione mentre l’altra sia libera di accettarla (o meno) non fa maturare il diritto alla provvigione (Cass. 13590/2004).

Per completezza espositiva, si ricorda che, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, con l’espressione “affare” deve intendersi «qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, anche se articolatasi in una concatenazione di più atti strumentali, purché diretti nel loro complesso a realizzare un unico interesse economico, anche se con pluralità di soggetti» (Cass. 30083/2019).

Conclusioni: il principio di diritto

Gli ermellini seguono il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui:

  • «al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato (così, Cass. 39377/21; 32066/21; 30083/2019, alle quali si rinvia per la discussione e l’indicazione dei precedenti). È invece da escludere il diritto alla provvigione qualora tra le parti si sia costituito soltanto un vincolo idoneo a dare impulso alle successive articolazioni del procedimento di conclusione dell’affare, come è accaduto nel caso di specie con la sottoscrizione della proposta d’acquisto»

In conclusione, la Suprema Corte accoglie il motivo di ricorso relativo alla determinazione del valore dell’affare sulla cui base va calcolata la provvigione (nella misura del 3%), cassa la sentenza gravata in relazione al motivo accolto e rinvia alla corte d’appello in diversa composizione anche per le spese di legittimità.

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