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TREVISO – Non c’erano già più speranze da un anno e mezzo. E ieri pomeriggio è stata ufficializzata la prescrizione del filone d’indagine relativo alle truffe di Veneto Banca. Una sentenza di non luogo a procedere, pronunciata dopo una manciata di minuti di camera di consiglio, che cancella quasi due anni di indagini di un’inchiesta nata monca, portata avanti solo come “parallela” alle due più importanti: la prima, con imputato per aggiotaggio, falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza bancaria il solo Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato ed ex direttore generale dell’istituto di credito di Montebelluna (condannato in appello a 3 anni di reclusione solo per il terzo reato dopo la prescrizione dei primi due, ndr), e il secondo per bancarotta fraudolenta che vede indagate 11 persone (tra cui proprio lo stesso Consoli, si attende la richiesta di rinvio a giudizio a inizio 2024). 

L’UDIENZA
Il sostituto procuratore Massimo De Bortoli lo aveva dichiarato il 15 luglio 2022: «È tutto finito, non ci sarà alcun processo. Sapevamo che questo filone di indagine era destinato a chiudersi con un nulla di fatto». Commento ribadito ieri quando il collegio del tribunale di Treviso ha dichiarato prescritta l’associazione a delinquere finalizzata alla truffa in merito alla vendita della azioni dell’ex popolare di Montebelluna che, per l’accusa, erano state sopravvalutate del 77%. Davanti ai giudici erano chiamati a rispondere dei reati contestati dalla Procura, oltre a Consoli, anche Mosè Fagiani, ex condirettore generale ed ex responsabile dell’area commerciale, Renato Merlo, ex responsabile della direzione centrale pianificazione e controllo. Il suo successore, Giuseppe Cais, e Andrea Zanatta, ex direttore del settore Capital management, erano già usciti dal processo al termine dell’udienza preliminare quando il gup Piera De Stefani aveva dichiarato prescritte tutte le truffe commesse prima del 15 gennaio 2015 (assolvendo i due coimputati) avvalorando le tesi difensive secondo cui non potevano essere a conoscenza della sopravvalutazione del valore delle azioni. Nel dispositivo il gup, partendo dal presupposto che il danno stimato dalla Procura per la vendita dei titoli era di 107 milioni di euro, aveva anche posto sotto sequestro conservativo 53,5 milioni di euro nei confronti di Consoli, Merlo e Fagiani. Sequestro che ieri pomeriggio è caduto, con disposizione di restituire le somme agli imputati.

L’ULTIMA STRADA

In attesa che venga fissata l’udienza davanti alla Corte di Cassazione per il primo procedimento penale a carico di Vincenzo Consoli (quello della condanna a 3 anni in appello, ndr), sia la Procura di Treviso che le parti civili confidano che quello relativo alla bancarotta fraudolenta metta un punto (anche sul fronte risarcitorio) sullo scandalo di Veneto Banca. Anche perché la mannaia della prescrizione, in questo caso, non incombe poiché scatterebbe non prima del 2029. Gli inquirenti, inviato l’avviso di chiusura indagini a 11 persone tra dirigenti, funzionari e consulenti, stanno aspettando la prima settimana di gennaio per procedere con la richiesta di rinvio a giudizio. L’obiettivo è di portarli tutti a processo per un crac quantificato in 320 milioni di euro e provocato dall’erogazione di prestiti senza garanzie ai cosiddetti “amici”. Sotto accusa ci sono Vincenzo Consoli, Mosè Faggiani e l’ex presidente Flavio Trinca, ma anche Michele Stiz, noto commercialista trevigiano ed ex membro del collegio sindacale. E poi ancora Francesco Favotto, presidente del cda, Romeo Feltrin, vicepresidente del comitato crediti, Daniele Scavaortz e Roberto Mescalchin, entrambi membri dello stesso comitato, l’avvocato Pierluigi Ronzani (per una parcella legata a un’operazione inesistente), Mauro Angeli, amministratore unico della Vimet, Attilio Carlesso, consigliere di amministrazione di Veneto Banca dal 2008 al 2014 e presidente del collegio sindacale della Vimet, e Michele Barbisan, responsabile direzione territoriale della ex popolare.

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